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Pace non è quieto vivere

Il concetto moderno di pace non coincide con quello di assenza di conflitto.

Esso si costruisce innanzitutto sulla consapevolezza della stupidità che caratterizza la violenza e le guerre che insanguinano il mondo, risultato estremo di una cultura millenaria basata sul concetto che per natura l’uomo sia " homini lupus" e che la " mors tua" garantisca la " vita mea"; una cultura della sopraffazione, della violenza vista come elemento integrante del nostro corredo biologico, come elemento inevitabile del nostro comportamento, come unico mezzo possibile per la risoluzione dei conflitti; addirittura un processo di crescita dell’umanità, uno strumento della ragione attraverso il quale, come sosteneva Hegel, lo spirito si incarna nel mondo.

La cultura della violenza ha inesorabilmente contagiato tutti i settori della nostra vita, da quello economico, culturale, religioso, a quello della comunicazione.

La complicità fuorviante dei mass media favorisce infatti la diffusione di modelli di comportamento funzionali al sistema che ha bisogno, per sopravvivere, di una moltitudine di persone inette, inconsapevoli della realtà, ipnotizzate al punto da faticare a far sentire la loro voce e a trovare energie e strategie comuni che possano contrastare l’iniquità dell’attuale sistema economico-finanziario che concentra la ricchezza del mondo nelle mani di pochi privilegiati, a danno di una moltitudine sempre crescente di poveri.

Non sorprende quindi che anche la Chiesa, attraverso i secoli, sia stata contagiata da questa visione del mondo.

Già nella Bibbia campeggia la figura di un Dio sterminatore, violento, il Dio degli eserciti.

Oggi siamo di fronte a una Chiesa rassegnata e, fatte le dovute eccezioni, divenuta anch’essa funzionale al sistema, espressione di un Cristianesimo dogmatico, ritualistico, lontano dal messaggio di nonviolenza del Vangelo.

Una Chiesa che non ha il coraggio di proclamare a gran voce l’immoralità dell’attuale modello di sviluppo che fabbrica strumenti di morte visti come unica via possibile per la risoluzione dei conflitti.

Come possiamo chiamarci cristiani ignorando l’esortazione del Cristo a " porgere l’altra guancia?"

Rivolgo pertanto un appello a quella parte non ancora risvegliata della Chiesa affinché esca dal sonno della rassegnazione e prenda le distanze dalla cultura dell’antagonismo basata sulla categoria amico-nemico, dal maschilismo tipico del modello patriarcale di famiglia che legittima la superiorità dell’uomo sulla donna, da certa tecnologia in cui spesso si annida un quoziente di violenza nefasto per gli equilibri ecologici.

Incominciamo tutti/e insieme a reagire e a sognare un mondo diverso, consapevoli che altrimenti non ci sarà futuro.

Non è certo facile uscire da un sistema che si è incancrenito fino a condizionare profondamente le nostre scelte in tutti i settori della vita, a incominciare dalla scuola. Ma se vogliamo reagire, moltiplicando il nostro impegno nella costruzione di un mondo di pace e nonviolenza, è indispensabile conoscerne i limiti e gli orrori.

I cittadini/e, e i giovani in particolare, devono sapere che i miliardi di dollari spesi in armamenti vengono sottratti alla produzione di beni e servizi necessari al loro progresso civile, materiale e culturale; devono sapere che la spesa annua destinata alla produzione di armi equivale al reddito complessivo di metà dei paesi avanzati del mondo.

Mentre faccio queste considerazioni torno indietro nel tempo quando, bambina, studiavo la storia; una storia di conquiste e di guerre che ci venivano presentate non come atti di violenza, ma come momenti di crescita per l’umanità.

E mi impressiona oggi ricordare la mia passione per Achille, il Pelide Achille dell’Iliade, presentatoci come un semidio forte e coraggioso, del quale ci furono nascoste le crudeltà commesse nei confronti dei nemici; l’ammirazione per i Crociati, eroi che "generosamente" andavano a difendere il Santo Sepolcro di Cristo, dei quali non conoscemmo mai i crimini perpetrati nei confronti degli " infedeli".

E che dire di Giulio Cesare, il leader carismatico che conquistò la Gallia massacrando migliaia di persone, tra cui donne e bambini innocenti, massacro che Plinio definì " un oltraggio al genere umano".

Al centro di tutto il culto dell’impero, dei vincitori, dei più forti; una  vera e propria " inoculazione di veleno nelle coscienze", diceva bene Gandhi.

Mi fermo a questi pochi ma significativi e illuminanti esempi ben sapendo che l’elenco delle colpevoli omissioni e delle bugie raccontateci dai libri di storia e dai nostri Maestri sarebbe lunghissimo.

E per finire non posso non accennare alla violenza che si annidava nella educazione religiosa ricevuta a scuola, basata sull’autoritarismo degli insegnanti, su formulazioni dogmatiche, su ripetizioni mnemoniche  dei comandamenti e minacce dell’inferno per chi non li rispettava; una educazione punitiva che, mortificando il nostro spirito critico, entrava coscientemente o incoscientemente a far parte degli ingranaggi che hanno permesso al sistema di perpetuarsi, amplificandosi a livello sociale attraverso le leggi, i tribunali, le carceri, le torture, fino alla pena di morte ancora vigente in alcuni stati.

Non è certo facile passare dalla logica della punizione a quella della cura e della educazione, intesa non come imposizione ma come mezzo atto a sollecitare e tirar fuori l’imprevedibilità e la creatività dei giovani.

È pertanto urgente ripensare il modo di rapportarci con le persone nell’ambito familiare, nei gruppi sociali e politici dove sono inevitabili il confronto e la ricerca di valori comuni. Si tratta di pensare globalmente, di rivoluzionare il nostro modo di leggere il rapporto con la natura, le persone, la vita. Ciascuno di noi, pur facendo parte di un sistema violento, desidera un mondo di pace, amore e felicità. Se capiamo che gli aspetti negativi della società in cui viviamo sono il risultato dei nostri singoli comportamenti sapremo modificarli avviando, con chiarezza di propositi e di valori, profondi processi di cambiamento.

In questo contesto, la scuola in generale e l’Università in particolare, in quanto formatrici di formatori, hanno un ruolo insostituibile nella promozione di un orientamento pedagogico che, attraverso le valenze formative dei vari ambiti disciplinari, prepari le nuove generazioni ad affrontare le sfide del futuro.

Consola constatare che, pur nel travaglio del momento, si vada facendo strada anche tra i giovani la consapevolezza che la transizione non possa che essere nel rifiuto dei processi distruttivi in corso, nella rottura netta con un sistema che ha visto il nostro modello culturale imporsi sulle culture altre, fino ad assimilarle o a farle scomparire quasi del tutto.

Prima che il patriarcato prendesse il sopravvento, circa 5000 anni fa, esisteva una antica civiltà risalente al Neolitico, la civiltà della Dea Madre, colpevolmente ignorata dai libri di storia e su cui oggi si concentrano l’interesse e la curiosità di molti studiosi e studiose tra cui l’archeologa lituana di fama mondiale Marija Gimbutas.

 

È grazie alle sue numerose campagne di scavo in Europa e al suo instancabile lavoro di classificazione e codificazione dei reperti che siamo venuti a conoscenza dei tratti salienti di una civiltà in cui predominava la figura di una Grande Dea, in cui non si conosceva l’uso delle armi, non esistevano guerre, l’uomo e la donna avevano pari dignità, e si viveva in armonia con la Madre Terra e con tutti gli esseri.

Una società matriarcale, pacifica, gilanica, i cui valori resistono, seppur faticosamente, in alcune piccole comunità contemporanee sparse per il mondo.

Un esempio su tutti la comunità Mosuo in China.

Tracce degli antichi modelli di esistenza ispirati ai valori matricentrici ancora resistono anche in qualche angolo della nostra Sardegna dove il culto antico della Dea Madre ebbe uno sviluppo e una persistenza eccezionali; lo dimostrano i numerosi reperti archeologici e i resti di templi come quello di Monte d’Accoddi nel sassarese, risalente al Neolitico, unico in Europa e nel bacino del Mediterraneo, o le rovine del tempio della Dea Madre Astarte, visibile sulla sommità della Sella del Diavolo a Cagliari.

Monte d'Accoddi (Sassari, Wikipedia CC BY 4.0)

 

Questi esempi sono una chiara dimostrazione che il mondo NON è sempre stato violento e che le guerre NON sono sempre esistite, come pensano numerosissime persone rassegnate all’esistente.

È possibile passare da una società necrocentrica a una società biofila basata sull’Amore, la Condivisione, l’Ascolto profondo dell’altro, la Bellezza, l’Arte.

Solo se crediamo in questa possibilità di cambiamento, fino a ieri ritenuta utopia, sapremo trovare le energie e il coraggio di fare il balzo verso il Nuovo, ricominciando da dove eravamo più di 5000 anni fa, smettendo di guerreggiare e cercando di cooperare, smettendo di separare e scegliendo di unire, smettendo di innalzare muri e scegliendo di aprire spazi sempre più ampi di comunicazione, di fiducia reciproca, di rispetto e di aiuto, indipendentemente dalle differenze di cultura, filosofia, religione o fede.

"Questa è la nostra semplice religione." dice il Dalai Lama." Non esiste un’altra via per costruire una pace durevole. Non c’è bisogno di templi, non c’è bisogno di filosofie complicate. Il nostro stesso cervello, il nostro stesso cuore è il nostro tempio".

Sogno che questo pensiero contagi, attraverso gli insegnanti, i bambini e le bambine che frequentano la scuola e che, a loro volta, essi contagino i loro genitori, fratelli, sorelle, amici, diventando così artefici di una rivoluzione epocale nonviolenta.

Sento che questo accadrà. Ci vorrà del tempo. Io non lo vedrò. Ma accadrà, come da profezia, che " il deserto diventerà un giardino". ( Isaia 32,15 )

 

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Maria Gaias

(Burgos/Sassari, classe 1940)

1957 Diploma di Abilitazione Magistrale all'Istituto Magistrale di Iglesias; 

1968 Laurea in Lingue e Letterature Straniere all'Università di Cagliari; 

1968-71  Insegnamento di Materie Letterarie e Inglese nella Scuola Media Statale; 

1971-89 Insegnamento di Lingua e Letteratura Inglese presso il Liceo Scientifico Statale "Giorgio Asproni" di Iglesias; 

1990 Semestre gennaio-giugno Insegnamento della Lingua Italiana presso l'Università Nazionale Somala di Mogadiscio (quadro di cooperazione internazionale); 

1992 Cofondatrice e vicepresidente del Comitato Provinciale UNICEF di Pisa; 

1994-2000 Organizza e coordina per l’UNICEF cinque Corsi Multidisciplinari di Educazione allo Sviluppo, presso la facoltà di Economia dell’Università di Pisa (540 gli iscritti tra studenti universitari e insegnanti); 

1998 Cofondatrice della Associazione Culturale Sarda "Grazia Deledda" di Pisa; 

1999 Organizza e coordina il Convegno sul Parco Geo-Minerario Storico e Ambientale della Sardegna a Pisa; 

2000 Entra a far parte come consigliera della Associazione “Berretti Bianchi Onlus”. Vicepresidente Nazionale per alcuni anni, ha compiuto missioni in India (2004), Giordania (2005) e Romania (2013) a sostegno di progetti con finalità di solidarietà sociale; 

2001-2002 Coordina per l'UNICEF il progetto "Azzeccagarbugli" della Provincia di Pisa (diritti dell’infanzia); 

2004-2013  Collabora con la Provincia di Pisa e con l'ILO al Progetto SCREAM “Stop al Lavoro minorile” (coinvolgendo oltre 36900 studenti e studentesse di 459 Scuole della provincia di Pisa, cinque delle quali ricevono un Premio dal Presidente della Repubblica); 

2014 Coorganizza e coordina il Convegno "Spiritualità, Etica e Politica. Idee e pratiche per una società nonviolenta e solidale" (Pisa); 

2015-18 Cofondatrice e coordinatrice della "Associazione di Associazioni Inventare Futuro" (Pisa); 

2017-18 Organizza e coordina il Corso di Formazione "Inventare Futuro: verso l'umanizzazione dell'economia" presso la Facoltà di Economia dell’Università di Pisa (tra gli altri circa 100 studenti e studentesse degli istituti superiori cittadini per “L'alternanza scuola-lavoro”; 

2019-20 Promuove nelle scuole tre progetti didattici interconnessi dal titolo: "Un Mondo di Idee: Pace in azione - Sostenibili e circolari - Il mondo e gli altri animali.”. Il progetto arriverà nelle scuole di Iglesias il prossimo anno scolastico; 

2000-2020 Organizza e condivide percorsi di meditazione Zen nella tradizione di Thich Nhat Hanh (Pisa).

 

La parola crea il mondo – nel bene e nel male

 

 

La realtà sociale in cui viviamo, con tutte le sue contraddizioni e le sue negatività, è un dato ineluttabile al quale dobbiamo necessariamente sottometterci o, invece, possiamo considerarla il prodotto di un gran numero di fattori, tra i quali predomina il nostro comportamento relazionale personale o di gruppo?

E, se la realtà dipendesse in buona misura dalle nostre modalità comunicative e, in ultima analisi, dal nostro essere profondo?

Violenza e guerra sono due modalità inevitabilmente associate al vivere umano o sono superabili a partire da un radicale cambiamento del nostro rapporto con gli altri?

In altre parole, una comunicazione nonviolenta e inclusiva può dar vita a prassi e organizzazioni sociali della stessa natura?

Mohāndās Karamchand Gāndhī 
 

Esperienze di enorme portata sociale, di livello planetario, come il processo portato avanti da Ghandi per la liberazione dell’India dalla dominazione britannica e la lotta per la parità degli afroamericani, di Martin Luther King, dimostrano che ciò è possibile a livello macro.

Entrambi sono stati capaci di creare e trasformare identità e relazioni, determinare nuove realtà interpersonali, ribaltare prassi e organizzazioni sociali, grazie ad eccezionali capacità di comunicazione inclusiva ed empatica, profondamente coerenti con le loro personalità e con le finalità della loro azione politica.

Ma, ognuno di noi potrebbe fare l’esperienza di vedere radicalmente trasformati i propri conflitti qualora si sforzasse di applicare nella propria vita il motto dello stesso Mahatma Ghandi, “sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”.

Il valore della parola (e della mente) nei processi di trasformazione sociale è stato messo in evidenza da sempre nella storia del pensiero umano, fino ad attribuirgli addirittura la forza di creare il mondo, come possiamo leggere, nel prologo del Vangelo di Giovanni, dove si sostiene che la Parola ha generato tutta la realtà fisica, biologica, psichica e sociale.

Naturalmente, si tratta di un’affermazione che va oltre ogni spiegazione scientifica e il cui approfondimento rimane appannaggio della teologia ma che esprime benissimo come il valore creativo della Parola-Verbum-Logos fosse riconosciuto fin dall’antichità.

Attualizzando, non viviamo oggi in una realtà sociale e culturale creata e ricreata continuamente dalle infinite parole emesse dalle grandi centrali di comunicazione giornalistica, commerciale e politica?

Non siamo forse sottoposti ad un continuo bombardamento mediatico che influenza i nostri processi cognitivi e finisce per condizionare gran parte dei nostri comportamenti?

D’altra parte, è principalmente grazie alla parola che gli individui costruiscono la propria rete di relazioni, definiscono le proprie identità e si costruiscono una rappresentazione di quelle degli altri. Si potrebbe anche dire che gli individui sono comunicazione in quanto, come ha ben detto Paul Watzlawick, “non si può non comunicare”.

Paul Watzlawick
Watzlawick
Carl Rogers
Rogers
Giacomo Rizzolatti
Rizzolatti
  
 
 
 
 
 
 
 
 
Per Carl Rogers, alla base dei processi di comunicazione efficace, nonviolenta e profonda, c’è l’empatia, la possibilità di sperimentare su di sé lo stato psicologico di un altro individuo e, nel 1995, un gruppo di ricercatori italiani, coordinato da Giacomo Rizzolatti, ha scoperto le basi biologiche di questa innata capacità, individuando degli speciali neuroni motori (neuroni specchio) che, nel cervello dei primati, si attivano in maniera corrispondente a ciò che l’individuo osserva direttamente di un altro individuo o viene a conoscere attraverso un racconto orale, filmico o di altro genere.

L’empatia fa sì che gli altri entrino veramente a far parte di noi, perciò, in definitiva, essere aggressivi verso gli altri, significa aggredire sé stessi e le proprie basi mentali.

Come spiega molto bene il recentissimo libro di Milena Santerini, La mente ostile - Forme dell’odio contemporaneo, la capacità di odiare è legata alla necessità evolutiva di essere pronti a reagire di fronte a pericoli che si ripetono ma ciò non significa che l’umanità debba continuare a vivere in balìa di questo sentimento, adesso che cultura e razionalità sono così sviluppate. Invece, proprio ora che i mezzi di comunicazione hanno reso il mondo un unico villaggio globale, le conseguenze dell’odio e della comunicazione aggressiva, che pure hanno sciaguratamente determinato le due guerre mondiali, sono ancora più evidenti e immediate.

Nel ‘97 e nel 2016, l’Unione Europea ha emanato delle Raccomandazioni a proposito degli hate speech (discorsi d’odio) che, purtroppo hanno preso sempre più piede attraverso Internet, grazie all’enorme diffusività di questo strumento ma, oltre a questi tentativi a livello normativo, non mancano iniziative dal basso, probabilmente più incisive: «Clean Face» è il nome della campagna lanciata nel 2011 dal gruppo sardo del Movimento Internazionale «Giovani per un Mondo Unito»; «ReThink» è un’applicazione informatica lanciata da una tredicenne indiana nel 2013; la «Mappa dell’Intolleranza» è pubblicata annualmente in Italia dall’Osservatorio italiano sui Diritti, dal 2014; il «Manifesto per una comunicazione non ostile» è il decalogo proposto da un’associazione costituitasi nel 2016 tra esperti nel campo della comunicazione professionale impegnati a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla violenza delle parole.

Tutto porta a concludere che la realtà intorno a noi dipende in grande misura da come orientiamo la nostra comunicazione e da quanto essa è coerente con il nostro sentire profondo.

La realtà di ogni giorno, le tragiche notizie che provengono dal Medio Oriente e dall’Africa, le polemiche sui vaccini, la stupida e inutile aggressività della politica nazionale ma, ancor di più, il pantano sociale e ambientale in cui si trova la nostra Sardegna (insieme a buona parte della penisola), ci dicono che è sempre più urgente, prendere in mano il nostro destino e orientare verso la pace e il benessere sociale ogni nostra azione personale, sociale e politica. A partire dal riconoscere che la nostra felicità non può prescindere dalla cura dell’ambiente - casa di tutti - e non può esistere indipendentemente da quella degli altri. Perciò, per essere felici, dobbiamo rendere felici gli altri, in uno scambio capace di generare benessere immediato ma, soprattutto, di costruire un futuro migliore per noi e per i nostri figli.

 

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   Dentro e fuori la comunità a cura di Maria Giovanna Dessì

   Il caso RWM a cura di Cinzia Guaita e Arnaldo Scarpa

 

Arnaldo Scarpa

 

 

Arnaldo Scarpa 

 (Sassari, classe 1966)

1985 Perito Informatico presso l'ITIS “G. Angioy” di Sassari;  Cittadino iglesiente (1994), padre di 3 figli,  insegnante, pacifista nonviolento, attivo da sempre su temi ambientali, economici e sociali, co-portavoce del Comitato per la Riconversione RWM, membro della Tavola sarda per la pace, di "Economia Disarmata" (gruppo di lavoro del Movimento dei Focolari) e della rete "Coordinamento Yemen"; 2021 "Laurea in Scienze della Comunicazione" presso l'Università degli studi di Cagliari - Tesi di Psicologia Sociale della Comunicazione dal titolo: "Utilità ed efficacia della comunicazione nonviolenta nei processi sociopolitici e nei social network".

Il caso RWM

Comitato riconversione RWM

  

 

 

RWM in crisi? Lavoratori e territorio possono trovare altri modi per produrre reddito e benessere senza danneggiare nessuno.

 La RWM si dichiara in crisi: dal 1° agosto non rinnova il contratto a 80 dipendenti (che si sommano ad altri 110 a cui è toccata la stessa sorte a ottobre), annuncia la cassa integrazione per altri 90 [1].  Nuova disperazione per una disoccupazione che coinvolge già  oltre 25.000 persone sul territorio e per la quale occorrerebbe un progetto di sviluppo strutturale serio e innovativo. Come ci si può sentire davanti ad una situazione lavorativa che si credeva solida e che ha evidenziato invece tutta la criticità di un settore per sua natura variabile? Come non prendere atto del fatto che, come da tempo ripetono gli esperti, a fronte di immani guadagni dei proprietari, l'industria bellica non arricchisce, né dà sviluppo stabile ai territori che la ospitano? [2]

La disoccupazione è un dramma noto nel nostro territorio, da cui - la storia ce lo ripete in continuazione - non si esce con l'aiuto delle multinazionali che perseguono interessi loro, non nostri e che ci lasciano quando lo ritengono opportuno.

La RWM è in crisi perché non può più vendere ai suoi ricchi e aggressivi clienti Sauditi e degli Emirati Arabi Uniti . Non può farlo perché il governo giallo-verde, tenendo conto di una mozione votata all’unanimità dalla Camera il 26 giugno 2019, ha imposto l'embargo all'export delle armi verso i paesi in guerra, evidenziando che esiste una Legge italiana, la L.185/90 che da tempo chiedeva di essere rispettata. Nella stessa direzione vanno, inoltre, il Trattato sul commercio delle armi (Arms Trade Treaty – ATT), le risoluzioni del Parlamento Europeo e i pronunciamenti dell'ONU, oltre - ultima, ma prima per importanza! - la Costituzione che ripudia la guerra (art.11)  e sottolinea che l'iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana (art.41).

Quindi l'embargo all'export c'è stato nel rispetto di un quadro normativo robusto e incontrovertibile e la RWM, nonostante nel periodo precedente abbia ampiamente utilizzato le autorizzazioni rilasciate nel 2016-2017, con l'impiego produttivo massiccio di lavoratori interinali, ad un certo punto, evidentemente,  ha dovuto fermarsi.  A questo punto occorre chiedersi: un'azienda in dichiarata crisi su cosa conta per potersi risollevare, dato che durante il  lockdown si è dotata di un campo prove per testare esplosivi direttamente a casa e ha costruito capannoni tali da consentire di triplicare la produzione? Conta forse sulla fine dell'embargo, che significa prescindere dalla L.185/90, dai trattati internazionali, dalla Costituzione? Sul fatto che il Governo acquisti (in un periodo in cui è evidente a tutti che le spese andrebbero indirizzate alla salute, alla formazione e alla salvaguardia del pianeta!) non so quante bombe invendute per la Difesa (da chi?) e per salvare il lavoro (o il profitto?). Oppure l'ampliamento è dovuto alla speranza che si aprano nuovi fronti di guerra o eventuali opportunità di triangolazione? Conta sulla salvezza da parte della Regione, dei Prefetti, dei Sindacati? La stampa di questi giorni ha dato, infatti, ampio risalto alla mobilitazione generale per la salvezza della RWM [3][4].

Ma noi, abitanti del Sulcis-Iglesiente, sardi, italiani, europei perché dovremmo salvare un'azienda che si dichiara in crisi, crisi causata dall'applicazione di una Legge fortemente voluta dai cittadini? La RWM è in crisi? Allora si dia luogo alla riconversione. La Rheimetall che la controlla produce altrove nel settore civile. Porti qui quelle produzioni se è interessata a salvare i lavoratori (ma ci crede ancora qualcuno?). Dia lavoro degno e non legato a contingenze belliche.

In questo contesto in cui il mondo intero chiede di dare una svolta per la salvaguardia del pianeta, noi abitanti del Sulcis Iglesiente non entriamo come ingranaggi ultimi di un sistema che porta la nostra nazione ad essere implicata in vari modi nelle guerre: dall’acquisto imposto degli F35, alla vendita delle armi in Egitto alla dismissione del settore civile di Finmeccanica e Fincantieri, ecc.

Non armiamo gli aggressori di porzioni di umanità sempre più vaste!

Alziamo la testa, guardiamo più lontano, chiediamo alla politica il coraggio di difendere la propria gente e non le imprese private! 


A tal proposito rivolgiamo un caldo invito a firmare la petizione http://chng.it/8SGNngZpwR

 Dossier RWM 2018 

 

Il Comitato Riconversione RWM per la pace, il lavoro sostenibile, la riconversione dell’industria bellica, il disarmo, la partecipazione civica a processi di cambiamento, la valorizzazione del patrimonio ambientale e sociale del Sulcis-Iglesiente.

Il Comitato Riconversione RWM per la pace ed il lavoro sostenibile è nato da un “sussulto etico”: aver preso coscienza del fatto che in un territorio bello e ricco di potenzialità come il nostro si producono bombe che distruggono innocenti ha causato l’indignazione necessaria per passare all’azione. Un passaparola tra amici e amici degli amici ha generato un gruppo di lavoro aperto che ha preparato la manifestazione “Pace...parliamone”, a conclusione della Run for Unity, una staffetta mondiale per la pace che i ragazzi del Movimento dei Focolari organizzano in uno stesso giorno in tutto il mondo, correndo nei punti caldi della terra. La tappa sarda è stata portata ad Iglesias. Dopo una settimana da quella manifestazione molto partecipata, si è costituito il 15 maggio 2017, ad Iglesias, il comitato, con un nome lungo, a dimostrazione del fatto che da subito è stata chiara la complessità del problema “COMITATO RICONVERSIONE RWM per la pace, il lavoro sostenibile, la riconversione dell’industria bellica, il disarmo, la partecipazione civica a processi di cambiamento, la valorizzazione del patrimonio ambientale e sociale del Sulcis-Iglesiente”. Attualmente vi aderiscono oltre 20 aggregazioni della società civile, fondazioni, e singole persone di diverse categorie. Altri simpatizzanti non aderiscono, ma collaborano. Oltre a gruppi locali, vi sono associazioni nazionali e internazionali accomunate dallo scopo di fermare la produzione e l'esportazione di armamenti da guerra e promuovere la riconversione al civile di tutti i posti di lavoro dello stabilimento RWM che si trova tra i territori di Iglesias e Domusnovas, nell'ottica di uno sviluppo del territorio che sia pacifico e sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale e come segno di volontà di pace dal basso, che possa costituire uno stimolo alla cittadinanza attiva e alla politica nei vari territori nazionali e internazionali, necessario in questo clima di “guerra mondiale a pezzi”.    Click to listen highlighted text!   RWM in crisi? Lavoratori e territorio possono trovare altri modi per produrre reddito e benessere senza danneggiare nessuno.  La RWM si dichiara in crisi: dal 1° agosto non rinnova il contratto a 80 dipendenti (che si sommano ad altri 110 a cui è toccata la stessa sorte a ottobre), annuncia la cassa integrazione per altri 90 [1].  Nuova disperazione per una disoccupazione che coinvolge già  oltre 25.000 persone sul territorio e per la quale occorrerebbe un progetto di sviluppo strutturale serio e innovativo. Come ci si può sentire davanti ad una situazione lavorativa che si credeva solida e che ha evidenziato invece tutta la criticità di un settore per sua natura variabile? Come non prendere atto del fatto che, come da tempo ripetono gli esperti, a fronte di immani guadagni dei proprietari, lindustria bellica non arricchisce, né dà sviluppo stabile ai territori che la ospitano? [2] La disoccupazione è un dramma noto nel nostro territorio, da cui - la storia ce lo ripete in continuazione - non si esce con laiuto delle multinazionali che perseguono interessi loro, non nostri e che ci lasciano quando lo ritengono opportuno. La RWM è in crisi perché non può più vendere ai suoi ricchi e aggressivi clienti Sauditi e degli Emirati Arabi Uniti . Non può farlo perché il governo giallo-verde, tenendo conto di una mozione votata all’unanimità dalla Camera il 26 giugno 2019, ha imposto lembargo allexport delle armi verso i paesi in guerra, evidenziando che esiste una Legge italiana, la L.185/90 che da tempo chiedeva di essere rispettata. Nella stessa direzione vanno, inoltre, il Trattato sul commercio delle armi (Arms Trade Treaty – ATT), le risoluzioni del Parlamento Europeo e i pronunciamenti dellONU, oltre - ultima, ma prima per importanza! - la Costituzione che ripudia la guerra (art.11)  e sottolinea che liniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con lutilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana (art.41). Quindi lembargo allexport cè stato nel rispetto di un quadro normativo robusto e incontrovertibile e la RWM, nonostante nel periodo precedente abbia ampiamente utilizzato le autorizzazioni rilasciate nel 2016-2017, con limpiego produttivo massiccio di lavoratori interinali, ad un certo punto, evidentemente,  ha dovuto fermarsi.  A questo punto occorre chiedersi: unazienda in dichiarata crisi su cosa conta per potersi risollevare, dato che durante il  lockdown si è dotata di un campo prove per testare esplosivi direttamente a casa e ha costruito capannoni tali da consentire di triplicare la produzione? Conta forse sulla fine dellembargo, che significa prescindere dalla L.185/90, dai trattati internazionali, dalla Costituzione? Sul fatto che il Governo acquisti (in un periodo in cui è evidente a tutti che le spese andrebbero indirizzate alla salute, alla formazione e alla salvaguardia del pianeta!) non so quante bombe invendute per la Difesa (da chi?) e per salvare il lavoro (o il profitto?). Oppure lampliamento è dovuto alla speranza che si aprano nuovi fronti di guerra o eventuali opportunità di triangolazione? Conta sulla salvezza da parte della Regione, dei Prefetti, dei Sindacati? La stampa di questi giorni ha dato, infatti, ampio risalto alla mobilitazione generale per la salvezza della RWM [3][4]. Ma noi, abitanti del Sulcis-Iglesiente, sardi, italiani, europei perché dovremmo salvare unazienda che si dichiara in crisi, crisi causata dallapplicazione di una Legge fortemente voluta dai cittadini? La RWM è in crisi? Allora si dia luogo alla riconversione. La Rheimetall che la controlla produce altrove nel settore civile. Porti qui quelle produzioni se è interessata a salvare i lavoratori (ma ci crede ancora qualcuno?). Dia lavoro degno e non legato a contingenze belliche. In questo contesto in cui il mondo intero chiede di dare una svolta per la salvaguardia del pianeta, noi abitanti del Sulcis Iglesiente non entriamo come ingranaggi ultimi di un sistema che porta la nostra nazione ad essere implicata in vari modi nelle guerre: dall’acquisto imposto degli F35, alla vendita delle armi in Egitto alla dismissione del settore civile di Finmeccanica e Fincantieri, ecc. Non armiamo gli aggressori di porzioni di umanità sempre più vaste! Alziamo la testa, guardiamo più lontano, chiediamo alla politica il coraggio di difendere la propria gente e non le imprese private!  A tal proposito rivolgiamo un caldo invito a firmare la petizione http://chng.it/8SGNngZpwR  Dossier RWM 2018    Il Comitato Riconversione RWM per la pace, il lavoro sostenibile, la riconversione dell’industria bellica, il disarmo, la partecipazione civica a processi di cambiamento, la valorizzazione del patrimonio ambientale e sociale del Sulcis-Iglesiente. Il Comitato Riconversione RWM per la pace ed il lavoro sostenibile è nato da un “sussulto etico”: aver preso coscienza del fatto che in un territorio bello e ricco di potenzialità come il nostro si producono bombe che distruggono innocenti ha causato l’indignazione necessaria per passare all’azione. Un passaparola tra amici e amici degli amici ha generato un gruppo di lavoro aperto che ha preparato la manifestazione “Pace...parliamone”, a conclusione della Run for Unity, una staffetta mondiale per la pace che i ragazzi del Movimento dei Focolari organizzano in uno stesso giorno in tutto il mondo, correndo nei punti caldi della terra. La tappa sarda è stata portata ad Iglesias. Dopo una settimana da quella manifestazione molto partecipata, si è costituito il 15 maggio 2017, ad Iglesias, il comitato, con un nome lungo, a dimostrazione del fatto che da subito è stata chiara la complessità del problema “COMITATO RICONVERSIONE RWM per la pace, il lavoro sostenibile, la riconversione dell’industria bellica, il disarmo, la partecipazione civica a processi di cambiamento, la valorizzazione del patrimonio ambientale e sociale del Sulcis-Iglesiente”. Attualmente vi aderiscono oltre 20 aggregazioni della società civile, fondazioni, e singole persone di diverse categorie. Altri simpatizzanti non aderiscono, ma collaborano. Oltre a gruppi locali, vi sono associazioni nazionali e internazionali accomunate dallo scopo di fermare la produzione e lesportazione di armamenti da guerra e promuovere la riconversione al civile di tutti i posti di lavoro dello stabilimento RWM che si trova tra i territori di Iglesias e Domusnovas, nellottica di uno sviluppo del territorio che sia pacifico e sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale e come segno di volontà di pace dal basso, che possa costituire uno stimolo alla cittadinanza attiva e alla politica nei vari territori nazionali e internazionali, necessario in questo clima di “guerra mondiale a pezzi”.  Powered By GSpeech

 

 

 

Firma la petizione

 

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Cinzia Guaita 

(Iglesias, classe 1965)

1983  Maturità scientifica presso il Liceo "G. Asproni" di Iglesias;  1988 Laurea in Pedagogia Università degli studi di Cagliari. Moglie, madre, insegnante, cittadina attiva da sempre sulle tematiche ambientali, della pace e dei diritti umani. Co-fondatrice della "Scuola civica di politica - La città in comune", co-portavoce del Comitato per la Riconversione RWM. Membro della Tavola sarda per la pace, del gruppo di progetto "Protezione a chilometro zero", di "Economia Disarmata", gruppo di lavoro del Movimento dei Focolari e della rete "Coordinamento Yemen". Inoltre faccio parte della associazione "Mamme da Nord a Sud" che raggruppa decine di associazioni femminili principalmente ambientaliste.  

 

Arnaldo Scarpa

 

 

Arnaldo Scarpa 

 (Sassari, classe 1966)

1985 Perito Informatico presso l'ITIS “G. Angioy” di Sassari;  Cittadino iglesiente (1994), padre di 3 figli,  insegnante, pacifista nonviolento, attivo da sempre su temi ambientali, economici e sociali, co-portavoce del Comitato per la Riconversione RWM, membro della Tavola sarda per la pace, di "Economia Disarmataa" (gruppo di lavoro del Movimento dei Focolari) e della rete "Coordinamento Yemen".

 

[1] ANSA. Comunicato stampa dell’Amministratore delegato RWM del 21 luglio 2020.

[2] R. Caruso “Chiamata alle armi!” - I veri costi della spesa militare in Italia, EGEA 

[3] “La Regione convoca un tavolo con società e lavoratori” (Unione Sarda del 23 luglio)

[4] “RWM, nuovo incontro in Prefettura per superare la crisi” (Unione Sarda 24 luglio)

 

Materiale video:     

https://www.facebook.com/ComitatoRiconvRWM/ 

 

Dentro e fuori la comunità

Prove di sviluppo della comunità a partire dai bambini

Ho sentito che il covid sta correndo più veloce nei piccoli paesi. Ciò sarebbe dovuto alla vicinanza delle persone e alla forza dei legami che le piccole comunità ancora conservano.

Legami che da una parte favoriscono crescita, innovazione, benessere, e dall'altra danno origine a frizioni, incomprensioni e atteggiamenti difensivi. Così come i ricci di cui ci parla Schopenhauer (Il dilemma del porcospino), all’inizio stanno bene, ma a poco a poco cominciano ad accorgersi del dolore provocato dagli aculei dell’altro sulla pelle e cercano pertanto di allontanarsi. E allontanarsi dal proprio nido a volte è necessario, o almeno molto utile per far sì che il posto dove si abita si trasformi da un punto in cui passano infinite rette ad essere il centro di un cerchio la cui superficie non è più puntiforme.

L'equilibrio tra la vicinanza e la lontananza, simbolica e territoriale, tra le persone può fare la differenza nello sviluppo di una comunità. Se infatti è innegabile e rassicurante che ci debba essere una comunità coesa che condivide lo stesso paesaggio, la stessa quotidianità e gli stessi valori, solitamente sono coloro che da quella comunità riescono ad allontanarsi che poi riescono a vederla più chiaramente e a capirne il reale potenziale.

L'amore per il proprio territorio dovrebbe sempre essere sostenuto dalla curiosità per il diverso, al fine anche di potersi svincolare ed emancipare da certe dinamiche, e imparare dalla differenze, siano esse persone, comunità o Paesi.


Officine digitali

 

 

Questa forte convinzione mi ha spinto anche all'interno dell'Associazione Elda Mazzocchi Scarzella  che ora presiedo a proporre svariate occasioni di viaggio per i bambini. Viaggio come strumento educativo per eccellenza, che insegna a conoscersi meglio e a capire e osservare il mondo con occhi curiosi e trarre da ogni nuova esperienza un insegnamento.

La storia della nostra associazione è la storia di un forte legame con la vita e l'opera della pedagogista Elda Mazzocchi Scarzella. Una donna che arrivata a Domusnovas negli Anni '20 ha attivato la comunità attorno ai bambini e alle famiglie, costruendo il primo asilo del paese e organizzando attorno ad esso eventi, collaborazioni e pratiche comunitarie. Riportare questi insegnamenti e la sua storia nel presente, valorizzarla e proiettarla al futuro è l'obiettivo della nostra associazione che dal 2016 opera nel paese di Domusnovas.

Consapevoli dell'importanza del fare rete e del lavoro in sinergia con e per il territorio, nel 2018 abbiamo siglato un atto di gemellaggio con Il villaggio della madre e del fanciullo, fondato nel dopoguerra dalla Signora Elda a Milano.

Le attività organizzate questi anni hanno sempre mirato da un lato a valorizzare la storia e l'opera della signora Elda, lo scorso anno a questo proposito è stata affissa una targa nell'attuale biblioteca, dove sorgeva negli anni 30 il primo asilo del paese da lei fondato, dall'altro a valorizzare il territorio.

  

Associazione Elda Mazzocchi Scarzella di Domusnovas

 

Presentazioni di libri di autori locali, laboratori, organizzazione di gite e escursioni, feste, rievocazione di antichi riti, come quello di “Is Animeddas” sono le nostre attività principali.

Diffondere e proiettare nel futuro la storia e l'insegnamento della signora Elda è anche l'obiettivo del progetto FILI 2 finanziato dal Corpo Europeo di Solidarietà che partirà a breve e vedrà protagonisti 5 giovani del paese.

Tra le prossime aree di sviluppo l'attivazione di progetti di scambio studentesco che permettano ai nostri giovani di viaggiare e al nostro territorio di accogliere studenti da varie parti d'Europa.

 

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Maria Giovanna Dessì

(Iglesias, classe 1984)

Giornalista pubblicista e Guida turistica della Regione Sardergna; 2005  Laurea in Editoria, comunicazione multimediale e giornalismo (biennale) presso l'Università degli studi di Sassari;  2008 Laurea in Scienze della comunicazione (triennale) presso l'Università degli studi di Sassari;  2008-2010 Master di secondo livello in "Politiche europee e Cooperazione allo sviluppo" presso l'Università autonoma di Barcellona (Spagna); 2017-2018 Master di  primo livello in "Esperto nell'accompagnamento al riconoscimento delle competenze e alla valutazione degli apprendimenti pregressi"; dal 2017 Supervisore nel corso di emersione delle competenze dei quadri dirigenti del terzo settore; dal 2013 Responsabile della comunicazione esterna dell'Associazione Casa Emmaus e coordinatrice della comunicazione del progetto "I giardini possibili"; dal 2012 impegnata in vari progetti formativi e di supervisione nell'ambito del "Terzo settore", della formazione e organizzazione di eventi e conferenze, gestione di social media e webmaster, campagne di comunicazione per varie e numerose associazioni di volontariato, enti pubblici e università.

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