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Dal Gennargentu al Cixerri

 

 

 

Dal Gennargentu al Cixerri: i desulesi a Iglesias.

Affermare che l’identità culturale di Iglesias affonda le proprie radici nel sottosuolo, non significa semplicemente fare l’uso retorico di una metafora: realmente il destino della città “delle chiese” coincide con quello delle sue miniere.

E, così come l’attività estrattiva, essendo condizionata dall’abbondanza dei giacimenti, per sua natura variabile, è caratterizzata da fasi alterne, tale, nel corso della sua storia, si è rivelata l’economia cittadina, che della prima è stata, spesso, rassegnata suddita.

Infatti, Iglesias ha attraversato periodi di auge e di declino, in cui numerosi dominatori (dai Romani ai Pisani, dagli Aragonesi ai Piemontesi), si sono avvicendati per sfruttarne le generose viscere: alcuni di loro hanno lasciato tracce tangibili della propria presenza, restituendo alla città, quale sorta di inconsapevole rimborso all’opera predatrice intrapresa, monumenti, strade e altre infrastrutture; di altri, al contrario, se ne riscontra il rapace passaggio soprattutto in virtù delle cicatrici inferte al paesaggio locale.

Tutte queste popolazioni hanno contribuito a costruire la storia e la cultura di Iglesias e degli iglesienti, al di là degli specifici apporti: tuttavia, l’intensità delle singole influenze appare direttamente proporzionale alla capacità dimostrata da ciascun dominatore di incidere sul sistema economico esistente, definendone nuove linee e modalità.

L’epopea mineraria di fine Ottocento, a questo proposito, ha segnato l’inizio, per la storia cittadina, della massima parabola ascendente, che ha raggiunto l’apogeo attorno ai primi decenni del secolo successivo, in concomitanza col livello più alto della produzione estrattiva.

Durante quest’arco di tempo, l’antica “Villa di Chiesa” ha acquisito la fisionomia di una città moderna, con strade lastricate ed illuminate a gas, sulle quali si affacciavano locande, offellerie, negozi, botteghe artigiane. Sofisticate architetture in stile Liberty, - fra cui spiccavano gli uffici direzionali e le palazzine residenziali delle società minerarie, - la proiettavano nel gusto mitteleuropeo della Belle Epoque. Se Iglesias conquistò la fama della più multietnica delle città sarde, essa fu meritata, tanto che ironicamente il barone Heinrich von Maltzan cambiò il suo nome in “Inglesias”[1], ad indicare il grande numero di anglosassoni circolanti attorno alle sue mura.

Ma, soprattutto, fu il paesaggio circostante a subire una radicale mutazione: la roccia venne perforata, saggiata e scavata fin nelle sue profondità più intime; reticoli di gallerie furono intessute nel sottosuolo; colline di materiali sterili si ammassarono ai margini delle cave; chilometri di strada ferrata, laverie, officine, pozzi, costituirono il nuovo, avveniristico scenario. Con audacia e pochi scrupoli, il paesaggio antropico si affermò su quello naturale, nel nome della tecnologia e della modernità.

Tuttavia, oltre a generare una nuova morfologia urbana e territoriale, l’industria estrattiva, con il suo grande exploit otto-novecentesco, comportò un’altra metamorfosi, meno evidente ma altrettanto significativa: fagocitando, sia direttamente sia tramite il suo indotto, la quasi totalità dell’economia iglesiente, ne divenne il dispotico fulcro.

Una simile predisposizione omnipervasiva, peraltro geneticamente connaturata, indusse la cultura mineraria a proseguire in questo processo di monopolizzazione, soffocando qualsiasi altra vocazione produttiva[2]: le restanti attività primarie, quali l’agricoltura e la pastorizia, che in passato, nella tradizione locale, avevano svolto un ruolo fondamentale, furono progressivamente disertate.

È naturale che, in quel preciso momento storico, il lavoro nel settore estrattivo divenisse di gran lunga il più ambito: nonostante la sua durezza, proponeva un tipo di occupazione dipendente, con garanzia di salario sicuro, contrapposto, viceversa, alla aleatorietà del guadagno agricolo, subordinato alla variabilità del clima e delle singole annate.

Nel 1893, quando ancora questo fenomeno era nella fase aurorale, Francesco Corona, attento testimone del suo tempo, scrisse: “Per Iglesias la coltivazione mineraria più che un bene è forse un male, poiché dessa ha attutito e quasi spento lo sviluppo dell’agricoltura in quella popolazione[3]”.

Analogo commento è fornito da un cronista del periodico iglesiente L’Aurora, nell’anno 1908[4]: “La nostra vita economica, affidata unicamente alle sorti di una sola industria, quale è quella mineraria, che è soggetta ad una serie di cause di squilibri dei prezzi, (…) risente i dannosi effetti dei ribassi o nella diminuzione del lavoro o nella mercede. Noi ci siamo dedicati all’industria mineraria, trascurando ogni altro mezzo che possa concorrere alla prosperità della nostra regione. Nessun’altra industria è sino ad ora sorta, che possa surrogare la principale nel caso che questa venisse a mancare o per esaurimento dei giacimenti o per il loro rendimento negativo. Nessuno, sino ad ora, ha preso una energica iniziativa, per introdurre una nuova industria o far progredire per lo meno quella che è assai languente, quale è l’agricola.”

Il processo di riduzione della manodopera agro-pastorale proseguì inarrestabile anche nei decenni a venire, dilatandosi addirittura all’intera valle del Cixerri, ed interessando in particolare quei comuni (Domusnovas e Villamassargia), più a stretto contatto con i bacini minerari: così, in questo distretto, se nel 1936 gli operatori del settore primario rappresentavano ancora il 60% del totale dei lavoratori, nel 1951 si ridussero a quota 38%, fino al 21% del 1971, con la scomparsa di circa 300 famiglie contadine[5].

Questo decremento è stato ancor più accentuato nel Sulcis-Iglesiente, cuore dell’area mineraria, dove gli occupati nell’industria estrattiva, nonostante già dal dopoguerra avessero registrato una contrazione dei posti di lavoro, nel 1951 costituivano addirittura il 60-70% della popolazione attiva[6]. Per contro, gli addetti nel comparto agro-pastorale, calcolati sulla base del censimento del 1971, avevano subito un’ulteriore riduzione, nel corso dell’ultimo decennio, del 51,1%, con un’incidenza percentuale, rispetto alla totalità dei lavoratori, dell’8.5%[7].

Ciononostante, il vuoto occupazionale che si era andato creando nel settore primario, fu in parte compensato: ne furono protagonisti i pastori barbaricini che, essendo soliti praticare, già da tempo immemorabile, quella che Le Lannou chiama “grande transumanza[8]” fino alle pianure campidanesi e la valle del Cixerri, supplirono a tale carenza di manodopera. Le loro comunità di provenienza erano principalmente dislocate dalle pendici settentrionali ai versanti meridionali del massiccio del Gennargentu, dove il rigido clima invernale imponeva lo spostamento delle greggi verso temperature più miti e pascoli più abbondanti: seguendo quegli stessi percorsi stagionali, i pastori di Fonni, Aritzo, Seùlo, Gavoi e Desulo, trasformarono la tradizionale mobilità in stanzialità, scegliendo le terre iglesienti, abbandonate dai coloni locali, per i propri insediamenti stabili.

La lunga persistenza nel tempo di queste migrazioni stagionali è tuttora documentata in alcune tracce toponomastiche: nei dintorni di Siliqua, ad esempio, esiste una località chiamata Regione Aritzali, ossia “di quelli d’Aritzo[9]”; ma anche il cognome Fonnesu, assai diffuso nella valle del Cixerri, documenta la presenza nel territorio di gruppi originari di Fonni.

Restringendo il campo allo specifico territorio iglesiente, la comunità barbaricina la cui presenza risulta essere la più attestata, sia in termini quantitativi sia sulla base di una continuità diacronica, è senz’altro quella desulese.

Così, nel 1839, l’Angius identifica geograficamente la posizione di Desulo: «Terra della Sardegna nel distretto di Tonara della provincia di Busachi, già compreso nel Mandrolisai, dipartimento delle Barbagie e dell’antico giudicato d’Arborea». Il paese è ubicato «sopra una delle montagne più vicine all’Argentu, colosso de’ monti sardi quasi a mezza la gran catena[10]». Il suo clima è così descritto: «La temperatura è assai fredda anche nelle notti estive. Le eminenze d’intorno cominciano a vestirsi delle nevi ordinariamente a mezz’ottobre (…) e non se ne spogliano che a’ tepori dell’aprile. Il nevazzo suol durare nella popolazione per tre mesi, e spesso giugne a più di sei piedi di altezza[11]». Da questa inclemente condizione climatica discende la pratica della transumanza: «Cominciando a coprirsi di gran nevazzo i pascoli, devono i pastori affrettarsi a discendere nelle pianure, e condurre le capre e le pecore a svernare presso le marine, o le vedrebbero tutte perire. (…) I desulesi sogliono in gran numero pascolare nelle terre del Sigerro e finitime», dove, continua l’Angius, «non si trovano certamente buoni ospiti. L’appalto de’ pascoli in salti aperti e nelle chiudende, non costa meno di scudi sardi 4.000, di maniera che i frutti che rende per tutta la stagione il bestiame, accade spesso che non bastino alla locazione, se dalla loro pessima industria non si aggiunge parte della roba altrui[12]».

Malgrado l’alto costo dei canoni d’appalto, l’inconveniente segnalato dall’Angius non è esclusivo del Cixerri: la difficoltà di non possedere i mezzi sufficienti per condurre un allevamento autonomo era, pressoché per la maggioranza dei pastori, una costante. Per questo motivo, i pastori praticavano, con varie soluzioni contrattuali, la cosiddetta soccida, accordo che si stabiliva tra il proprietario di mezzi di produzione (terre e bestiame) e il prestatore d’opera, comprendente diversi gradi di divisione degli utili, a seconda del contributo apportato da ciascuno nella società stessa[13].

In ogni caso, l’analisi dell’Angius è confinata alla realtà ottocentesca[14]: nel secolo successivo, il crescente disinteresse verso il lavoro terriero a favore delle attività minerarie mutò gradatamente il quadro del mercato immobiliare iglesiente.

In effetti, nel corso degli anni ’60 del Novecento, periodo coincidente con la loro massima emigrazione verso il Cixerri[15], i Desulesi si erano trovati ad affrontare una fase economica in cui agivano due importanti fattori congiunturali: il primo, circoscritto ad Iglesias, costituiva un elemento di attrazione, e riguardava per l’appunto la maggiore convenienza dei prezzi fondiari in seguito alla defezione da parte dei contadini locali, il tutto all’interno di un sistema commerciale, che, sebbene non più in espansione, aveva tuttavia una sua vivacità[16]. Il secondo fattore, al contrario, era decisamente recessivo, ed interessava l’area d’origine, ossia il distretto pastorale del Gennargentu: qui il mercato si presentava asfittico a causa della mancanza di infrastrutture e di adeguati circuiti di scambio, per cui gli allevatori, impossibilitati a commerciare personalmente i propri prodotti, erano costretti a sottostare al ricatto dei pochi grossisti, che, imponendo i prezzi secondo cartello, concedevano loro solo margini minimi di guadagno. Vista la specifica situazione, per i produttori l’alternativa era pressoché inesistente: rifiutare la vendita, se pur a simili condizioni, avrebbe significato sostenere, oltre all’immediata perdita finanziaria, anche i problemi di deperibilità o stoccaggio della merce non liquidata, merce, - va ricordato, - di natura deperibile.

 

I primi desulesi che trasferirono la propria attività pastorale nei pascoli nell’Iglesiente lo fecero da semplici affittuari dei terreni, senz’altro capitale personale che la propria forza fisica e il possesso di su connotu, la sapienza lavorativa appresa attraverso le generazioni. Si trattava, tuttavia, di un patrimonio inestimabile: come si verifica generalmente nelle società contraddistinte da un’economia di sussistenza, con scarsa disponibilità di risorse, la comunità desulese si fondava infatti su basi culturali molto salde, in cui prevalevano valori quali lo spirito di sacrificio, uno stile di vita sobrio e parsimonioso, la reciproca collaborazione dei suoi membri.

Il modello produttivo di riferimento era costituito dal nucleo familiare, all’andamento del quale, attraverso ruoli e oneri ripartiti secondo una ferrea suddivisione sessuale, contribuivano in modo equo tutti i componenti: gli uomini erano infatti dediti alle attività relative all’allevamento, compresa la lavorazione di latte e formaggi, mentre le donne coltivavano l’orto e provvedevano alla conservazione di scorte alimentari.

Durante la lunga assenza stagionale del paterfamilias, impegnato nella transumanza, la conduzione del gruppo familiare era affidata alla moglie: era compito suo organizzarne il lavoro, gestirne ed amministrarne l’intera economia[17], attuando qualsiasi strategia per il conseguimento dell’autosufficienza[18], ossia la produzione di tutto ciò che serviva al suo consumo interno. Tale ottimizzazione implicava non solo la pratica della policoltura, intesa come coltivazione differenziata di numerosi prodotti, se pur in quantità limitata[19], ma anche l’uso razionale delle esigue risorse disponibili: perciò si raccoglievano noci e castagne, si allevavano animali da cortile, si esercitava sussidiariamente l’artigianato[20], il cui commercio avrebbe poi seguito i medesimi percorsi della transumanza.

In sostanza, la famiglia, intesa quale unità autonoma di produzione e consumo[21], si profilava come un’istituzione di mutuo soccorso: spesso si trattava di una comunità allargata, polinucleare, che aveva elaborato un sistema di valori parentali nel quale «l’andare d’accordo»[22] costituiva un presupposto essenziale, ai fini della salvaguardia di quella stessa struttura sociale. Il principio di cooperazione su cui si organizzava, necessario all’efficienza della propria economia, una volta introiettato in qualità di valore culturale fondante, è andato riproponendosi come modello esemplare di funzione lavorativa.

Questa messa a fuoco ci consente di comprendere secondo quali modalità, in un tempo relativamente breve, i Desulesi furono in grado di acquistare, generalmente tramite pagamenti dilazionati in cambiali, i terreni iglesienti presi in affitto per il pascolo. Furono l’abitudine alla sobrietà e al lavoro, la collaborazione parentale, la progettualità lungimirante proprie della loro cultura, nonché l’affidabilità con cui si distinsero circa la solvenza dei pagamenti, a favorire il processo che portò i pastori venuti dal Gennargentu a divenire, da affittuari, proprietari dei terreni nei quali lavoravano, seguendo un percorso di ascesa economica di cui questa costituisce solo la prima tappa.

Nella comunità d’appartenenza, per tradizione, al compimento dei venti anni, ciascun figlio maschio[23], che fino ad allora aveva collaborato col padre per l’andamento del lavoro pastorale, otteneva un certo numero di capi di bestiame, una scrofa e una somma di denaro[24]: da quel momento poteva decidere se restare in società col padre o aprire un’attività a sé stante[25]. Questa consuetudine faceva sì che ciascun figlio si emancipasse in età giovanile, affinché fosse in grado di costituire un’unità di produzione e consumo autonoma, e, potenzialmente, potesse associarsi ai nuclei familiari preesistenti, ampliandone la rete di interessi e competenze: in questo modo si strutturava un solido sistema di cooperazione e soccorso reciproco, capace, con un intervento collettivo, di contrastare le eventuali difficoltà economiche di uno qualsiasi dei suoi membri.

Questo meccanismo di solidarietà, individuato in gruppi sociali che vivono in condizioni di sussistenza, lo si riscontra anche nelle ondate migratorie a catena: i primi gruppi di partenti, dopo che si sono stabiliti nel nuovo ambiente vitale, diventano a loro volta sorta di avamposti per quelli in arrivo, dei quali rappresentano imprescindibili punti di riferimento. Le nuove comunità, ampliate nelle loro fila, possono divenire formazioni numericamente cospicue, che, talora, praticando l’endogamia e continuando ad usare lingua e tradizioni del luogo d’origine, si comportano come vere e proprie enclave etniche molto coese e chiuse.

Per i desulesi ad Iglesias, l’esito dell’analisi è un po’ diverso, perché, se perdura, all’interno del loro gruppo, una forte coesione, non altrettanto persiste la chiusura verso la popolazione ospitante: alla seconda generazione l’endogamia era già superata, così che gli attuali giovani sono da considerare (e si considerano essi stessi) iglesienti a tutti gli effetti[26].

Al contrario, la perpetuazione del principio della solidarietà, inteso come fondamento essenziale di identità, ha avuto positivi effetti secondari: sommato ad altri valori culturali, quali l’operosità, la determinazione, l’onestà unanimemente riconosciuta, ha favorito un’evoluzione della condizione lavorativa di questi emigrati, sancendo il passaggio da un’attività primaria ad una terziaria.

Infatti, gli investimenti finanziari, che in precedenza avevano avuto come obiettivo la proprietà dei terreni da pascolo, successivamente si sono indirizzati all’ottenimento di licenze commerciali, poi coronate dall’acquisto degli stessi immobili di pertinenza.

Il risultato è che, al presente, ad Iglesias l’opera professionale dei desulesi appare prevalentemente concentrata attorno al pubblico commercio, in particolar modo riguardante la ristorazione e la gestione di tabaccherie e macellerie[27].

 

Costume tradizionale di Desulo (foto di Gianni Careddu - CC BY-SA 3.0 Wikipedia)

 

Uno dei primi esercizi ad essere aperti ad Iglesias da emigrati di Desulo è stata la trattoria di Loddo e Maccioni, che, situata all’inizio di via Cagliari, ha visto la luce nel 1934; nella stessa strada, però alla fine del suo percorso, fu poi aperta la trattoria Floris. Uno dei bar storici della città è quello di Antonio Murgia e Sebastiano Pintore, che in origine era dislocato nella piazza del mercato, dunque in un crocevia di intenso traffico; ancora, Maria Littarru gestiva un bar-trattoria in via della Zecca[28], mentre suo fratello Pinotto, poco lontano, teneva un negozio di generi alimentari. Di vecchia fondazione è anche il bar Secci, in via Sant’Antonio che, per un lungo periodo, ha costituito il principale punto di ritrovo per i pastori insediatisi nei pascoli verso Sant’Angelo, fungendo da presidio di collegamento privilegiato con Desulo, come centro di ricezione e smistamento della posta e delle notizie provenienti dal paese[29].

Per una lista dei maggiori esercenti, in attività sino al 2010, si rimanda alla pubblicazione originale: Grazia Villani, “Dal Gennargentu al Cixerri: i Desulesi ad Iglesias”, Scuola Civica di Storia 2008, Iglesias, Memoria, Identità, Futuro, 2010. [30]

 

È molto importante sottolineare questa attitudine dei desulesi all’imprenditoria e al libero commercio, perché essa rappresenta un’interessante eccezione nel contesto economico iglesiente. Abbiamo già ampiamente evidenziato come l’industria mineraria, col suo dispotico sistema economico, avesse indotto ad una mutazione di mentalità quella stessa classe di operai che, inizialmente, si era distinta per aver guidato importanti lotte nel riconoscimento dei diritti dei lavoratori. Col tempo, infatti, divenne quasi naturale, da parte degli abitanti dei distretti minerari, assumere una forma mentis di tipo salariale: quando la produzione estrattiva andò scemando, essi finirono per attendersi da figure esterne l’opportunità e l’organizzazione del lavoro, spesso rivendicando allo Stato, più che incentivi finanziari per la creazione di nuove attività, soltanto forme di assistenzialismo economico. Di conseguenza, fu decretata la mortificazione della libera iniziativa di tipo imprenditoriale, cronicizzando la già esistente stasi del mercato del lavoro.

Considerato che l’attuale situazione economica locale risente tuttora di questi medesimi problemi, è in questo senso che l’esempio dei Desulesi potrebbe rappresentare un possibile modello di sviluppo cui si dovrebbe guardare con estremo interesse, proprio perché la sua efficacia la si può quotidianamente verificare nella realtà economica cittadina.

Secondo le stime più recenti, infatti, si calcola che la comunità desulese raggiunga circa le 3.000 unità, anche se, come già anticipato, le nuove generazioni, sempre più acculturate, sentono sempre meno intensamente il vincolo affettivo col paese d’origine dei propri padri, che invece quest’ultimi continuano a percepire profondamente.

Eppure Iglesias e Desulo sono sempre stati legati da un rapporto privilegiato, concretizzato persino in un collegamento diretto dal punto di vista territoriale: fino a quattro anni fa, una linea di autobus faceva la spola tra i due centri, per trasportare eventuali passeggeri e rifornire i compaesani della città mineraria con i prodotti provenienti dalle montagne barbaricine[31]. Ancora, fino a circa un ventennio fa, esistevano convenzioni speciali fra alcuni albergatori di Desulo e l’I.N.P.S., affinché i minatori iglesienti con i polmoni minati dalla silicosi, potessero respirare, almeno per periodi saltuari, l’aria fine e salubre di montagna.

Nell’odierno mondo di Internet e della globalizzazione, che tutto unisce ma tutto appiattisce, quei tempi sembrano ormai lontani: tuttavia, in molte rivendite di alimentari della città, gestite anche da Iglesienti, è sempre più frequente imbattersi in cartelli che segnalano la possibilità di comprare in loco il pane, i formaggi e i salumi provenienti direttamente da Desulo, prodotti evidentemente richiesti dalla popolazione tanto da essere entrati a far parte del regime alimentare quotidiano.

Negli anni a venire, per l’inevitabile processo di integrazione il quale caratterizza felicemente la maggioranza delle migrazioni, è probabile che, gradatamente, i Desulesi saranno del tutto assorbiti nella cultura della città ospitante, alla cui crescita essi stessi hanno contribuito.

Resta l’auspicio che questo capitolo senz’altro edificante del recente passato di Iglesias non sia fatalmente dimenticato: esso racconta una storia “condivisa” da due popolazioni culturalmente diverse, le quali, destinate dagli eventi ad un cammino comune, lo hanno percorso all’insegna del reciproco rispetto[32]; si tratta dunque di una storia degna di essere ricordata nella memoria collettiva anche da parte di coloro che verranno[33], magari eternandola attraverso un gemellaggio fra i Comuni interessati.

Se, per i più svariati motivi, ciò non dovesse accadere, e la politica non promulgherà ciò che la storia ha sancito, sarà tuttavia innegabile che, oltre ai tanti esercizi commerciali, al pane tradizionale “cicci” e ai muretti a secco di divisione dei terreni, i Desulesi avranno lasciato ad Iglesias un’altra importante eredità, quest’ultima di tipo morale: un’impareggiabile lezione di operosità e di tenacia.

Desulo a Iglesias di Gianbattista Pusceddu (Iglesias, 2019)
 
Desulo di Flavio Littera (Desulo, 2016) 

 

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ZACCAGNINI, Margherita “Mutamenti di popolazione in Sardegna nel periodo 1951-1971”, Annali della Facoltà di Magistero dell’Università di Cagliari, Nuova serie, vol. IV, 1980.

 

Note

[1] Per maggiore completezza, vedi BRIGAGLIA, Manlio “Ai tempi delle “campagne d’Iglesias”, Argentaria, n. 1, novembre 1992, p. 65. L’opera del barone von Maltzan, il cui titolo originale è "Reise auf der Insel Sardinien nebst einem Anhang über die phönicischen Inschriften Sardiniens", uscito a Lipsia nel 1869, fu poi tradotto in italiano da G. Prunas Tola, col titolo Il Barone di Maltzan in Sardegna, Milano, 1886.

[2] Circa questa problematica, vedi VILLANI, Grazia “La tradizione agricola ad Iglesias in alcuni documenti ottocenteschi”, Argentaria, n. 10, dicembre 2006, pp. 22-27.

[3] L’Unione Sarda, 3 novembre 1893.

[4] Cfr. VILLANI, Grazia “La Massoneriaad Iglesias tra Ottocento e Novecento”, Almanacco di Cagliari 2008.

[5] LEONE, Anna ZACCAGNINI, Margherita “Immigrazione di pastori e recenti trasformazioni nella valle del Cixerri (Cagliari)”, La Sardegna nel mondo mediterraneo. Atti del secondo convegno internazionale di studi storico-geografici, vol 3: Turismo, agricoltura e assetto del territorio, a cura di Pasquale Brandis, Gallizzi, Sassari, 1984, p. 238.

[6] GENTILESCHI, Maria Luisa “Movimenti migratori nei comuni minerari del Sulcis-Iglesiente”, Sardegna. Emigrazione, a cura di M. Luisa Gentileschi, Cagliari, Della Torre, 1995, p. 187.

[7] GENTILESCHI, Maria Luisa “Movimenti migratori nei comuni minerari del Sulcis-Iglesiente”, Sardegna. Emigrazione, a cura di M. Luisa Gentileschi, Cagliari, Della Torre, 1995, p. 201.

[8] LE LANNOU, Maurice Pastori e contadini di Sardegna, Cagliari, Della Torre, 1979, p. 174.

[9][9] LE LANNOU, Maurice Pastori e contadini di Sardegna, Cagliari, Della Torre, 1979, p. 176, nota 1.

[10] LA SARDEGNA PAESE PER PAESE, dal Dizionario di ANGIUS, Vittorio CASALIS, Goffredo, Cagliari, L’Unione Sarda, 2004, vol. 4, p. 256.

[11] LA SARDEGNA PAESE PER PAESE, dal Dizionario di ANGIUS, Vittorio CASALIS, Goffredo, Cagliari, L’Unione Sarda, 2004, vol. 4, pp. 258-259.

[12] LA SARDEGNA PAESE PER PAESE, dal Dizionario di ANGIUS, Vittorio CASALIS, Goffredo, Cagliari, L’Unione Sarda, 2004, vol. 4, p. 266.

[13] Nella soccida a cumoni, ad esempio, se il socio maggioritario forniva i due terzi del gregge, il terzo rimanente spettava al socio minoritario, che però sosteneva le spese di gestione, compresa l’eventuale assunzione di un servo-pastore: alla chiusura del contratto, in genere della durata di cinque o sei anni, il gregge veniva diviso in parti uguali, come annualmente avveniva per gli utili. Si trattava, pertanto, di forme societarie assolutamente dinamiche, basate su contratti che, di volta in volta, si adeguavano al tipo di produzione e alle contingenti condizioni politico-economiche. Tuttavia, l’introduzione dell’attività pastorale nella sfera dell’economia capitalistica non fu indolore: l’oscillazione della maggiore o minore domanda di un mercato sempre più vasto divenne una variabile strutturale, importante quanto l’organizzazione dell’utilizzo delle terre, ed imprevedibile come l’andamento del tempo atmosferico.

[14] Secondo la testimonianza di Antioco Mannu, al periodo in cui scrisse l’Angius risale la venuta ad Iglesias del primo desulese di cui si conosca l’identità: si trattava di Stefano Piroi, nell’anno 1840. (Intervista contenuta nel cortometraggio “Desulo ad Iglesias: i decani”, ideato, diretto e prodotto da Giovanni Battista Pusceddu, presentato il 30 dicembre 2004 presso l’Auditorium del Palazzo Vescovile di Iglesias).

[15] Cfr. anche ZACCAGNINI, Margherita “Mutamenti di popolazione in Sardegna nel periodo 1951-1971”, Annali della Facoltà di Magistero dell’Università di Cagliari, Nuova serie, vol. IV, 1980. p. 215.

[16] Per completare l’argomento su queste problematiche, aggravate dal fenomeno dell’emigrazione extraisolana, vedi GENTILESCHI, M. Luisa “Deruralizzazione e rientro degli emigrati dall’estero in Sardegna”, La Sardegna nel mondo mediterraneo. Atti del secondo convegno internazionale di studi storico-geografici, vol 3: Turismo, agricoltura e assetto del territorio, a cura di Pasquale Brandis, Gallizzi, Sassari, 1984, p. 242 e sgg.

[17] Cfr. LOCCI, Totore Raccontare Desulo, Nuoro, s.e., s.d., p. 103.

[18] Cfr. MURRU CORRIGA, Giannetta Dalla montagna ai campidani. Famiglia e mutamento in una comunità di pastori, Cagliari, 1990, pp. 42-43. Anche MELONI, Benedetto Famiglie di pastori. Continuità e mutamento in una comunità della Sardegna centrale (1950-1970), Rosenberg & Sellier, 1984, pp. 164-165.

[19] Interessante, su questo argomento, la riflessione di CALTAGIRONE, Benedetto “La montagna coltivata. Usi e rappresentazioni dello spazio in Barbagia”, in Sardegna, a cura di G. Angioni e A. Sanna, Roma-Bari, Laterza, 1988, (L'architettura popolare in Italia), p. 59.

[20] Gli artigiani desulesi erano specializzati nella lavorazione ad intaglio di oggetti in legno, corno, sughero, fra cui le celebri cassepanche in legno di castagno. Cfr. anche DORE, Gianni “I luoghi della produzione artigianale”, in Sardegna, a cura di G. Angioni e A. Sanna, Roma-Bari, Laterza, 1988, (L'architettura popolare in Italia), p. 144.

[21] Cfr. ATZENI, Paola “L’habitat disperso. Il Sulcis”, in Sardegna, a cura di G. Angioni e A. Sanna, Roma-Bari, Laterza, 1988, (L'architettura popolare in Italia), p. 132

[22] Cfr. MURRU CORRIGA, Giannetta “Case e famiglie della montagna pastorale”, in Sardegna, a cura di G. Angioni e A. Sanna, Roma-Bari, Laterza, 1988, (L'architettura popolare in Italia), p. 200

[23] Alle figlie era invece riservata la dote al momento delle nozze.

[24] Testimonianza diretta di Giovanni Cui. La scrofa poteva essere gravida o avere appena figliato.

[25] Nelle generazioni più recenti, non ricevevano tale ricompensa, sotto forma di donativo, i figli che avevano proseguito gli studi e dunque non solo non erano stati direttamente partecipi al mestiere paterno, ma avevano già ricevuto, con il mantenimento, la loro parte di capitale familiare.

[26] Testimonianza di Giomaria Chessa, contenuta nel cortometraggio “Desulo ad Iglesias: i decani”, di Giovanni Battista Pusceddu.

[27] L’attitudine al commercio dei Desulesi è stata incentivata dalla favorevole situazione economica riscontrata inizialmente ad Iglesias. Grazie alle miniere, il flusso circolante di denaro era cospicuo: i pastori venivano raggiunti dai compratori direttamente negli ovili, per poter acquistare alla produzione il latte fresco e gli altri prodotti caseari. Constatata questa domanda del mercato, i Desulesi decisero di spostarsi quotidianamente in città, armati di “bisaccia, brocchettina e misura”, in qualità di venditori ambulanti: il latte fresco veniva ceduto in quarti, per pochi soldi, a chiunque ne avesse fatto richiesta. (Testimonianze di Maria Littarru e Antioco Mannu, inserite nel cortometraggio “Desulo ad Iglesias: i decani”, di Giovanni Battista Pusceddu,).

[28] Maria Littarru gestiva il bar-trattoria da sola, dato che il marito Antonio Murgia era stato richiamato alle armi. (Intervista contenuta nel cortometraggio “Desulo ad Iglesias: i decani”, di Giovanni Battista Pusceddu,).

[29] Ringrazio per queste e le informazioni seguenti il sig. Giovanni Cui, la disponibilità e la gentilezza del quale confermano quell’attitudine ad intessere rapporti sociali di collaborazione che i Desulesi posseggono come valore culturale, meritevole di essere preso da esempio.

[30] Si ricordano inoltre Antonio Peddio e famiglia, con una rivendita di materiali edili, Antonio Deiana, che fornisce materiale per l’agricoltura, e un certo numero di costruttori edili (Cui, Borto, Fulgheri, Casula), i quali, se inizialmente lavoravano solo per i compaesani, poi hanno ampliato gli orizzonti del proprio mercato all’intero distretto iglesiente.

[31] In passato, fino a circa venti anni fa, c’era un servizio di taxi che collegava Desulo con Iglesias, la cui linea raggiungeva tutti i paesi attraverso i quali passavano i pastori transumanti. Allora, a piedi, erano necessari tre giorni e due notti di marcia, intervallati necessariamente da soste: grazie ai taxi, il latte munto durante il viaggio non andava sprecato, ma veniva portato direttamente in paese, assieme a tutte le merci e ai bagagli che il pastore voleva evitare di portarsi appresso. Cfr. LOCCI, Totore Raccontare Desulo, Nuoro, s.e., s.d., p. 108. Fra gli ultimi taxisti a prestare servizio in questa linea Iglesias-Desulo ricordiamo Peppino Littarru e “Corgiolu”.

[32] Circa il rapporto di convivenza fra Desulesi ed iglesienti, interessante la testimonianza di Pietro Ladu, (contenuta nel cortometraggio “Desulo ad Iglesias: i decani”, di Giovanni Battista Pusceddu), il quale, parlando dell’ambiente cittadino, dice: «Ci siamo trovati come a casa… tuttora lo siamo».

[33] Occorre rimarcare che, fra le tante iniziative culturali incentrate sulla tradizione pastorale, è stata da poco inaugurata la cosiddetta “via della transumanza”, la quale, andando da Desulo fino a Vallermosa, viene percorsa a cavallo: promotori dell’iniziativa i Cavalieri di Santa Chiara di Iglesias, capitanati dal presidente Michele Falconi.

Grazia Villani, “Dal Gennargentu al Cixerri: i Desulesi ad Iglesias”, Scuola Civica di Storia 2008, Iglesias, Memoria, Identità, Futuro, 2010. 

 

Leggi della stessa autrice

   I massoni a Iglesias a cura di Grazia Villani  

 

Grazia Villani

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Grazia Villani

(Pistoia)

Vive e lavora in Sardegna. Già archeologa, si interessa alla storia dell’emigrazione in Sardegna durante l’epopea mineraria. Pubblica in riviste locali, nazionali e internazionali, collaborando con università e istituti di ricerca. Attualmente svolge anche il lavoro di insegnante.

Ha curato, tra l’altro, l’allestimento del Museo civico - "Museo del minatore" di Buggerru, di cui è stata direttrice scientifica per diversi anni.

Dal 2013 è coordinatrice scientifica della Scuola Civica di Storia ad Iglesias; 1993 Laurea in Lettere Classiche, con orientamento archeologico, presso l’Università di Cagliari con una tesi dal titolo Strutture ecclesiastiche e topografia medioevale di Iglesias; 1999 Laurea in Scienze della Formazione, con orientamento antropologico-culturale, conseguito presso l’Università di Cagliari, con una tesi dal titolo La casa introversa sarda: il caso di Quartu Sant’Elena nel contesto storico-culturale mediterraneo; 

2003 Specializzazione in Studi Sardi, con indirizzo archeologico-artistico, conseguita presso l’Università di Cagliari con una tesi dal titolo: Le tombe di giganti: riflessioni di carattere etnologico; 2006/2007 Master II livello in Mediazione Culturale nei Musei, conseguito presso l’Università degli Studi Roma Tre; 2001 Abilitazione come vincitrice di concorso per l’insegnamento di letteratura italiana, storia e geografia presso gli istituti di scuola secondaria di primo e secondo grado, di ruolo dal 2005.

  Pubblicazioni

 

I Giardini della Biodiversità

 

 

Associazione Scuola Civica di Politica - La città in Comune
Associazione Centro Sperimentazione Autosviluppo
ASD Gennarta 

Progetto
I GIARDINI DELLA BIODIVERSITÀ

VALORIZZAZIONE DELL'AREA IN LOCALITÀ SU PARDU IN CUI È COLLOCATA LA CHIESA ALTOMEDIEVALE DEL SALVATORE DI IMPORTANTE RILIEVO STORICO - CULTURALE - TURISTICO

Il Progetto in atto 2020/2023 "I Giardini della Biodiversità" fa riferimento alla deliberazione della Giunta comunale n. 62 del 16/04/2020 con la quale si sono forniti indirizzi al Dirigente del Settore socio culturale del Comune di Iglesias riguardo delle procedure di coprogettazione tramite manifestazione di interesse e all'allegato Progetto culturale per la valorizzazione della chiesa di San Salvatore e area esterna.


In esso si precisa che il Comune di Iglesias:
-Intende rilanciare la qualità del vivere urbano nel rispetto della sostenibilità ambientale, coniugando l'obiettivo di valorizzare e recuperare la città esistente ed allo stesso tempo promuovere e rafforzare il contributo del Terzo settore e delle associazioni in genere, anche attraverso la creazione di servizi, risorse, luoghi e strutture apposite, in grado di avviare processi di crescita culturale, di sviluppo economico e di coesione sociale nella città, con specifico riferimento ai quartieri periferici… Ciò si coniuga con il fabbisogno espresso dalla cittadinanza ed in particolare dei quartieri periferici, di poter disporre di immobili per la realizzazione di progetti, iniziative ed attività finalizzate alla rivitalizzazione di detti quartieri oltre che alla crescita del tessuto connettivo sociale ed economico… Il patrimonio immobiliare comunale può rappresentare una risorsa importante per la realizzazione della progettualità sopra indicata, con particolare riguardo alla possibilità di "ri - utilizzo" e di "ottimizzazione" degli immobili che spesso risultano inutilizzati, di difficile collocazione.


Il progetto del Comune di Iglesias si propone di raggiungere i seguenti obiettivi:

a) Fornire attraverso l'apertura del sito al pubblico la possibilità di visitare la chiesa più antica di Iglesias ed apprezzare le essenze mediterranee presenti nell'area esterna;

b) valorizzare e mettere in rete il patrimonio culturale pubblico e privato e creare distretti culturali;

c) Sostenere e rilanciare un lavoro di qualità anche attraverso l'implementazione di progetti specifici per consentire l'inserimento lavorativo di giovani;

d) elaborare strumenti educativi attraverso pannelli ed esperienze didattiche sulla storia attraverso i secoli della nostra città, accessibili alla popolazione locale, ai turisti e ai visitatori ed agli studenti di ogni ordine e grado, volti alla diffusione e la conoscenza della cultuale locale;

e) presidiare e valorizzare un sito di pregio a livello storico e culturale, che dobbiamo tramandare alle generazioni future, affinché sia apprezzato come spazio culturale e non zona lasciata all'incuria e al disinteresse collettivo;

f) creare una cultura della biodiversità, della partecipazione, della sostenibilità, dell'arte e della rigenerazione urbana e sociale.

La proposta progettuale viene presentata dall'ATS, Associazione Temporanea di Scopo, costituita dalle associazioni Scuola Civica di Politica - La città in Comune. ASD Gennarta, Centro Sperimentazione Autosviluppo. Tali associazioni hanno maturato l'esperienza nella gestione di servizi di questo tipo essendo stati i titolari della convenzione nei tre anni precedenti (2017/2018/2019)

Tale progetto precedente si è caratterizzare per alcuni aspetti innovativi per la nostra realtà: la riqualificazione e rigenerazione di luoghi belli e ricchi di storia, riaperti all'utilizzo e alla fruizione di cittadini e turisti, il lavoro in rete, l'attenzione e la valorizzazione della biodiversità umana e della natura, l'impulso alla cultura della conversione ecologica, il coinvolgimento del quartiere con l'attenzione alle relazioni, la valorizzazione dei percorsi di pace, nonviolenza e disarmo, l'emozione di rendere belle e piacevoli le piccole cose.

 

La chiesa e il sito sono stati conosciuti e apprezzati da un ampio pubblico vicino e lontano (che prima ne ignorava l'esistenza anche nello stesso quartiere di Serra Perdosa) richiamando l'attenzione di numerosi turisti e cittadini. È stato un luogo di ricerca e di formazione per noi e per la comunità aperto alle scuole e a qualunque iniziativa sulle tematiche generali trattate, non solo per la nostra città ma per tutto il territorio. Un breve video realizzato dai bambini della scuola primaria di Serra Perdosa, ne ha presentato a tutti i bellissimi elementi architettonici e paesaggistici e le caratteristiche culturali.

 
Atlante dei Monumenti Adottati (video Vimeo)

 

È stata sede di performance musicali molto apprezzate anche per la presenza di un'ottima acustica.

Perry Frank, Ambient Guitar XXXIV - Museum #2
 
Luca Persico, BWV 1001 - Sicilienne
 

I punti di forza sono stati l'organizzazione di numerosi incontri di formazione culturale e politica sui temi della eco-bio-diversità e del disarmo in collaborazione con il Comitato per la riconversione della RWM, delle Culture utilizzando varie strumenti come il teatro, il cinema, le conferenze, la presentazione di libri, le mostre fotografiche.

I Giardini della Biodiversità
 
Inoltre hanno caratterizzato l'attività di questi anni la realizzazione del Mercato della Biodiversità di Iglesias, appuntamento mensile culturale dedicato al Cibo biologico e di altissima qualità prodotto dalle aziende locali e la valorizzazione di progetti di sviluppo locale; le lezioni pratiche della Scuola Iglesiente di Erboristeria Popolare Sarda, Cibo Medicina e Pratiche di Benessere Olistico (con la conservazione di un'area del giardino ricca di erbe spontanee); la promozione di laboratori relativi al cibo e alle pratiche agricole sostenibili (con la realizzazione dell'orto sinergico e delle aiuole delle erbe tintorie), la valorizzazione delle risorse e delle tradizioni del nostro ambiente (erbe spontanee e coltivate, lana, frutti della biodiversità), l'autoproduzione di biodetersivi, il riuso e il riciclo dei materiali.

 

 Lo spazio a disposizione, ricco di piante della biodiversità e stato arredato con materiali naturali (balle di paglia, pallet). È stato curato da un gruppo di giovani Il Giardino dei Semplici (in un progetto in collaborazione con il Centro di salute mentale della ASSL Iglesias Carbonia che mirava all'integrazione sociale, attuata in contesti non sanitari), che insieme ai soci delle associazioni hanno strutturato lo spazio in modo funzionale alle diverse attività: l'aula didattica a cielo aperto, l'orto di Maia, il frutteto sociale, il giardino dei semplici con le specie officinali.


È stato gestito con un impegno saltuario di una ventina di volontari, e il supporto di numerosi esperti storici, archeologi, agronomi, paesaggisti, nutrizionisti, insegnanti, personale sanitario, mamme, artigiani e contadini e ha coinvolto in questi anni di progettazione partecipata (fatta di workshop di orientamento e approfondimento, di raccolta di idee, di lavoro concreto di pulizia, sfalcio di erba, costruzione di strumenti di valorizzazione del bene come il filmato con i bambini), centinaia di persone.

 
Stefano Mancuso, Giardini (Wikipedia)
 
How trees secretly talk to each other (BBC, 2018)
 
Dai Giardini della Biodiversità è nata la proposta del progetto Pianta! Insieme per il clima, in collaborazione con il Comune di Iglesias, le Scuole e tante associazioni, con l'attenzione alla formazione e la realizzazione di interventi per sostenere iniziative di riforestazione urbana e di tutela, valorizzazione ed ampliamento del nostro patrimonio boschivo.
 
   Pannelli del progetto Pianta! #1 (PDF 1)
   Pannelli del progetto Pianta! #2 (PDF 2)
   Lista dei video del prof. S. Mancuso (PDF A2)
   Ci stiamo giocando il futuro di S. Mancuso (PDF A3)
 


Partecipando agli scioperi per il clima #FridaysForFuture, è stata presentata, insieme agli studenti, al Consiglio comunale di Iglesias una proposta di mozione come Dichiarazione di emergenza climatica, approvata il 27 settembre 2019.

   Bozza della Mozione per il Consiglio Comunale di Iglesias (PDF 4)

 

Abbiamo collaborato con le scuole di ogni ordine e grado per varie iniziative. Molte delle attività svolte all'interno dei progetti PON dell'Istituto comprensivo C. Nivola "Gli Alberi della vita e Viviamo e scriviamo il libro della Natura" sono state realizzate presso il giardino e la chiesa del Salvatore.

  Pubblicazione "La pianta maestra" (PDF 5) 

Anche la collaborazione con le Associazioni è stata ampia e ricchissima. Alcune attività ci hanno arricchito di esperienze, relazioni, approcci, allargando la frequentazione di questo bellissimo luogo.

  

Il punto su cui si è lavorato maggiormente in questo periodo di pandemia, dove le attività culturali hanno avuto una drastica riduzione, è la promozione della "Comunità Saludi e Trigu!", rete delle biodiversità naturali e culturali, un Mercato di scambi, relazioni, cooperazione e sostegno alla rete della Vita.

Nel bellissimo giardino, ha preso il via inoltre un’attività ludico-motoria all’aperto propedeutica ad attività di Cammino “L’Arte del Camminare: una via per il benessere e l’armonia di corpo, mente e spirito” organizzata dall’ ASD Gennarta e dall’ATS I Giardini della Biodiversità.


Per chi volesse approfondire, si allega il progetto culturale e gestionale.

  Progetto triennale "I Giardini della Biodiversità" (PDF 6)

 

   

 

Leggi

  Scuola civica di politica di Iglesias - La città in comune a cura di Marcella Cogoni 

  Diario di una rinascita (Atto primo) a cura di Annalisa Uccella 

  Il Museo GeoPunto, l’APGS ed il CEAS del Parco Geominerario a cura di Alberto Marini

  Associazione Argonautilus a cura di Eleonora Carta, Erika Carta e Claudia Aloisi 

  Associazione Centro Sperimentazione Autosviluppo a cura di Teresa Piras  

  Un progetto che viene da lontano a cura di Maria Gaias 

 

Marina Muscas

  

 

Marina Muscas

(Iglesias, classe 1955)

1972 Maturità Magistrale; 1997 Corso di perfezionamento a distanza in “Comunicazione educativa e didattica” di durata annuale dell’Università degli studi di Padova. Moglie, madre, insegnante di scuola primaria per trentasei anni, promotrice e coordinatrice di progetti territoriali nei campi della qualità della scuola, della lotta alla dispersione scolastica, della ricerca storico-antropologica e della pratica didattica relativa alla memoria storica con l’utilizzo di tantissimi strumenti (rappresentazioni teatrali, filmati, murales, album di figurine, animazioni nelle piazze, contributo per la realizzazione del Museo dei Bambini di Monteponi). Ha curato numerose piccole pubblicazioni che hanno raccolto esperienze culturali e didattiche collettive. Per anni ha portato nella scuola i temi della pace e della realizzazione dell’orto scolastico con esperienze che hanno coniugato l’apprendimento cognitivo a quello emozionale, i contenuti con i valori, gli stili di vita e l’essenza della vita. Impegnata da sempre nello scenario politico-culturale della città, co-fondatrice della Scuola Civica di Politica - La Città in Comune e dell’esperienza “I giardini della Biodiversità”, ha collaborato con numerose associazioni credendo fortemente nel lavoro in rete e nella forza collettiva per migliorarsi crescendo insieme.

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