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I primi passi del fascismo iglesiente

 

 

La crisi economica del 1921 ha autorizzato, in un certo senso, la stretta definitiva della borghesia iglesiente, la quale vede di buon occhio una conservazione dell’ordine prestabilito tramite la repressione assoluta di ogni rivendicazione operaia.

Ruolo di rilievo è quello svolto dal proprietario della miniera di Bacu Abis, Ferruccio Sorcinelli, il quale costituisce l’anello di connessione tra gli industriali e la sottoprefettura di Iglesias, fornendo a quest’ultima fantomatiche voci allarmistiche sull’occupazione delle miniere e sulla costituzione dei consigli, propugnando una linea dura contro socialisti e minatori, colpevoli di essere i fautori del disordine sociale. Sorcinelli alza ancora di più i toni dello scontro, assicurandosi la proprietà de L’Unione Sarda, ed utilizzando le colonne del giornale per instillare nell’opinione pubblica la grande paura del bolscevismo in Italia.

È Lussu a lasciare poi un’ironica descrizione del personaggio: «Più grande aiuto portò al fascismo locale un industriale minerario: il commendator Sorcinelli. Egli era molto noto in tutta l’Isola. Eccezionalmente intelligente, sapeva sicuramente quel che voleva. Era stato sempre un democratico a tinte radicali. Passò qualche mese, e avvenne l’inevitabile. È difficile, in politica, stabilire punti fissi. Un democratico ha in sé i germi di infinite evoluzioni; con impeccabile logica, può ugualmente diventare comunista o fascista. Il commendator Sorcinelli rifletté con calma, e diventò fascista. E offrì un giornale quotidiano al fascismo».

  
Ferruccio Sorcinelli (banchiere e imprenditore), Emilio Lussu (capitano di fanteria), Angelo Corsi (politico riformista)

 

Esaltati dalla stampa di destra, nel marzo 1921, ad Arbus i proprietari terrieri istigano la popolazione a rovesciare il sindaco socialista Raimondo Pani; mentre i primi giorni di aprile avvengono degli scontri fra nazionalisti e socialisti ad Iglesias, in occasione del comizio del nazionalista Luigi Federzoni.

Nelle altre zone rurali d’Italia, i fascisti già si organizzano da mesi un po’ ovunque, mettendo a soqquadro le varie sedi delle organizzazioni proletarie; «liberali e democratici rimangono spettatori piuttosto soddisfatti. L’on. Giolitti favorisce l’impresa». Il disprezzo diffuso in tutto l’ambiente di sinistra per le politiche liberali borghesi, sarà uno dei motivi che spingeranno Giolitti a cercare l’alleanza coi fascisti.

Il primissimo caso in assoluto che testimonia la presenza fascista in Sardegna è riportato da Emilio Lussu, che si trova in quel momento a Villacidro per la campagna elettorale. Si tratta di una sezione costituitasi all’ultimo momento, comprendente conservatori, democratici «e parecchi gruppi operai in gran parte assoldati»; i quali cercano di impedire a Lussu di fare il comizio, ma non si procede oltre i proclami verbali.

 

Ad Iglesias invece l’offensiva squadristica, organizzata e violenta, comincia a prendere corpo a metà aprile ‘21. La reazione di Angelo Corsi e del riformismo iglesiente è quella di invitare i lavoratori a non rispondere alle provocazioni e condannare ogni episodio di violenza da ambo le parti. Intanto però gli squadristi, anche se non numerosi, hanno mezzi per cominciare a seminare il panico nei paesi del circondario, emulando i loro colleghi “padani”. Nel ripercorrere le tappe che portano a questo fallimento, quella di Corsi e delle sue memorie scritte è una testimonianza fondamentale per capire cosa sta accadendo nel territorio iglesiente.

È risaputo dai militanti socialisti che a finanziare le scorribande fasciste sono proprio Sorcinelli e i proprietari a lui vicini. Riporta Corsi: «Al Fascio Italiano di Combattimento d’Iglesias si aggrega la teppa di alto e basso loco. I finanziatori non mancano: le Società Minerarie e non pochi industriali e commercianti della città. La Vieille Montagne, la Pertusola, Monteponi, l’Elettrica Sarda, la Società Fondi rustici, fanno a gara: quattrini, camions, benzina, ecc… Come si vede fondi ed equipaggiamenti ci sono. La bassa teppa è pagata da dieci a venti franchi al giorno».

Corsi riporta come Lussu che, sino alla campagna elettorale del 1921, il movimento fascista in Sardegna ha veramente pochissimo seguito. Gli unici che si danno da fare sono questi avventurieri, politicanti speculatori, associati alle miniere, che usano tutti i loro mezzi per emergere. È evidente l’allusione al già citato Ferruccio Sorcinelli.

Fluminimaggiore, anni venti del Novecento

 

Per le vecchie cricche locali, è l’occasione propizia per sfruttare le «protettive violenze» in ottica antioperaia. Il fascismo ad Iglesias (ma in generale tutto il fascismo sardo) non ottiene nessun tipo di consenso politico, se non dopo la salita di Mussolini al potere; e tutto ciò nonostante le costanti sovvenzioni delle Società minerarie per foraggiare le violenze fasciste. Anzi, sono sia Corsi che Lussu a riportare le parole sferzanti con le quali il Duce definisce i suoi primi seguaci iglesienti: «compagnia malvagia e scempia»; visto il loro recalcitrare di fronte alle dichiarazioni tendenzialmente repubblicane che ancora caratterizzano i proclami mussoliniani in questa fase.

La circostanza viene sottolineata spesso anche da Lussu. Quest’ultimo descriverà in Marcia su Roma proprio il metodo organizzativo che i fascisti usano ad Iglesias: «I fascisti di tutta la zona mineraria non erano più di una cinquantina. Erano tutti operai. Le direzioni delle miniere avevano loro aumentato il salario, esentandoli dal lavoro: sicché, essi avevano denaro e tempo da spendere. Erano capeggiati da due giovani: il signor Otelli e il signor Mocci. L’uno e l’altro per questo lavoro di comando erano pagati dalle miniere». In questo modo dispongono di ampie risorse finanziarie per armi e mezzi di spostamento che non rimangono affatto inutilizzati. «Armati di grossi bastoni, attendevano gli operai all’uscita delle gallerie. Nei primi incontri, gli operai, presi alla sprovvista, ebbero la peggio. Ma successivamente, si capovolsero le parti. I fascisti vennero disarmati e conobbero essi stessi il peso dei loro bastoni. Gradatamente si ristabilì la quiete attorno alle gallerie, e la propaganda e la lotta si restrinsero in città, attorno all’on. Corsi» (ibidem).

 

Lussu descrive le difficoltà con le quali Corsi si muove in città, costantemente bersagliato dagli insulti e dalle aggressioni (sempre confinate al verbale) fasciste: egli è dunque in contatto ed informato sull’azione del leader riformista iglesiente, ed è a piena conoscenza del tipo di elemento sovversivo ed avventuriero, senza scrupoli, che l’industria mineraria assolda, in queste prime fasi, per sedare ogni plausibile ribellismo operaio. Corsi viene preso di mira dai fascisti a partire proprio da questo periodo, nel quale iniziano le dispute verbali violente di piazza fra socialisti e fascisti. Per sottolineare e rivendicare il suo status di moderato, egli non perde mai occasione per precisare che, durante tutta la campagna elettorale, egli e tutti i socialisti hanno sempre avuto un comportamento corretto e gentile con le opposizioni, e di quanto siano stati disponibili alle dispute pubbliche. Nelle sue memorie sottolinea anche il legame di amicizia che lo tiene in contatto anche con esponenti comunisti o massimalisti della zona, come Raimondo Pani, sindaco di Arbus, o il concittadino Giuseppe Pichi.

La campagna elettorale si trasforma in settimane di terrore che vedono la violenza fascista dilagare in tutto il bacino minerario: è la notte del 9 maggio 1921 che Fluminimaggiore conosce i metodi sbrigativi degli squadristi, quando viene assalita e incendiata la sede della Federazione dei minatori, e devastate le case dei socialisti; il giorno seguente l’opera viene poi completata dalla polizia che arresta una ventina di operai.

Riporta Bruno Murtas: «A metà maggio li troviamo all’interno del palazzo comunale, dove mettono a soqquadro i locali, asportano la bandiera rossa, forse dall’ufficio di Battelli, ma qualcuno afferma che era esposta nel balcone, e al suo posto issano quella tricolore».

Persino le celebrazioni del 1° maggio sono state vietate in paese dalla sottoprefettura col pretesto che potrebbero provocare la reazione dei fascisti. Le forze dell’ordine e, in particolar modo prefetture e sottoprefetture, sono inoperosamente complici dei fascisti o, laddove intervengano, lo fanno sempre per arrestare i militanti socialisti e comunisti; gli squadristi stanno bene attenti ad avere le spalle coperte: «come si vede, la teoria della violenza si basa solo sulla possibilità di essere usata con profitto». Insomma, nelle descrizioni di Lussu e di Corsi, il modus operandi dello squadrismo e delle spedizioni punitive del fascismo “sorcinelliano” segue un canovaccio abbastanza stabile ed emblematico. Anzitutto, i fascisti provocano e minacciano pubblicamente i militanti socialisti, che reagiscono verbalmente. In seconda istanza, i fascisti additano le reazioni verbali dei socialisti. Dopodiché, il terreno è pronto: le squadre organizzano a sorpresa la classica “spedizione punitiva” per bastonare, saccheggiare e mettere a fuoco sedi operaie, case di militanti ecc.; per poi dileguarsi rapidamente. Ultimo passo, nelle ore o giorni successivi, l’intervento della Pubblica Sicurezza che, enormemente collusa, opera un “preventivo” e sistematico arresto di massa degli esponenti delle organizzazioni proletarie coinvolte. Questo nei casi in cui l’appoggio delle forze dell’ordine è quantomeno il più mascherato; vi sono numerosi casi, sempre dettagliatamente riportati dai due politici antifascisti, nei quali polizia e carabinieri assistono inoperosi alle violenze di piazza fasciste.

Intanto, sotto il peso dei dissidi interni al socialismo, si sfalda la Federazione dei minatori, che non può che constatare, oltre all’offensiva padronale, anche l’indisciplina sindacale degli operai.

Lo schema tradizionale della pratica contrattuale dei riformisti non può più funzionare perché da parte delle Società minerarie non c’è più alcuna disponibilità al dialogo con il sindacato; e l’alternativa rivoluzionaria, ossia la controffensiva operaia proposta dal comunista Lentini viene osteggiata come avventuristica dal riformismo barricato dietro al “legalismo”; ma non può essere accolta con entusiasmo nemmeno dai minatori, che sono oltremodo abbattuti e scoraggiati dalle recenti sconfitte umilianti. I lavoratori si rendono anche conto del ruolo nefasto delle forze dell’ordine, non ne fanno mistero, ed è lo stesso sottoprefetto che si preoccupa del riflesso che ciò può avere sull’opinione pubblica. Le autorità e gli agenti della forza pubblica sono ormai considerati come i veri protettori e non soltanto gli attenuatori delle violenze fasciste.

Nonostante ciò, le elezioni del maggio 1921 vedono il socialriformismo tenere botta in modo clamorosamente efficace ad Iglesias; ma cosa ancora più sorprendente è la crescita ulteriore del Partito Sardo d’Azione, che si attesta alle soglie del 30% dei voti (Lussu è candidato e viene eletto come deputato al Parlamento).

Lo squadrismo fascista riesce ad intimidire, ad irretire, a impaurire; ma non convince, non ottiene consenso popolare. I suoi proclami sono vuoti per le masse, specialmente quelle politicizzate del Sulcis: il fascismo può incutere timore, frenare le rivendicazioni sindacali ed anche ogni genere di dissenso, ma non può rappresentare la massa dei lavoratori; i quali individualmente se ne discostano. Ciò però di certo non sortisce degli effetti arginanti sulle scorribande e la repressione coadiuvata dalla sottoprefettura.

Quando, nel gennaio 1922, verrà poi arrestata la maggioranza dei militanti comunisti di Iglesias, è smorzata l’attività di una sezione già morente e che per di più sta scatenando i suoi sforzi sulla critica degli errori storici del PSI, più che sul dilagare del pericolo fascista. Il progetto di Pichi di costituire un “fronte unico proletario”, il disperato tentativo di ricomporre le fratture del socialismo per fare da argine al fascismo, fallisce miseramente.

Con la presenza di un pretore dichiaratamente fascista, ad Iglesias l’ultimo insuccesso della difesa organizzata è la costituzione di una squadra degli Arditi del Popolo, già dall’estate del 1921. All’interno dell’organizzazione paramilitare, istituita per rispondere finalmente alle aggressioni fasciste, confluiscono militanti di tutte le forze antifasciste: per la maggiore sono anarchici, ma all’interno vi sono anche comunisti e persino esponenti del riformismo; ma la sottoprefettura avrà gioco molto facile nel disperderne le forze e farli sostanzialmente scomparire già entro l’autunno dello stesso anno. È un desistere decisivo, perché segna l’impossibilità, da parte delle forze antagoniste del fascismo, di avere i mezzi sufficienti per contrastarlo efficacemente anche con l’uso della loro medesima forza.

L’eco di questo fallimento si riverbera anche nel pensiero di Gramsci, il quale, in svariati articoli sull’Ordine Nuovo, constata con disgusto il compromesso demagogico del “patto di pacificazione” fra fascisti e socialisti parlamentari; che in sostanza è la causa della ulteriore stretta su qualsiasi tentativo di ribellione alle violenze fasciste. Per i comunisti, l’atteggiamento “collaborazionista” del PSI è il segno definitivo del tradimento; un’accusa che vedrà puntatasi addosso anche Corsi, dopo avere fatto gli onori di casa in occasione della visita del Re Vittorio Emanuele III ad Iglesias.

Dopo le elezioni, i fascisti non demordono affatto, ed anzi incrementano gli sforzi concentrando i loro attacchi contro le amministrazioni comunali. Di fatto, ora le Società minerarie possono vendicarsi senza remore, avendo a disposizione tutta l’organizzazione dello Stato come esplicito braccio armato. Già durante l’estate del ‘22, il socialismo non è più capace di opporre resistenza in modo coeso al fascismo; piuttosto è evidente che la stampa comunista si preoccupi più di attaccare costantemente Corsi e il riformismo iglesiente, rei di aver svuotato della loro utilità le organizzazioni operaie e di essere andati a patti con gli industriali minerari. Ciò dà un’immagine della completa disgregazione e della rassegnazione che imperversa in tutto il bacino iglesiente: trovare il coraggio per azioni di massa contro il potere schiacciante è impossibile. Nonostante ciò, a riprova della natura endogena del disegno repressivo, dopo il suo primo congresso regionale avvenuto proprio ad Iglesias nell’ottobre, il fascismo intensifica all’inverosimile la sua strategia del terrore al punto che, all’indomani della “Marcia su Roma” viene attuata un’opera di distruzione pressoché totale di ogni opposizione: le reti organizzative di ogni movimento operaio vengono perseguitate ed obbligate al silenzio con subdoli “patti di pacificazione”; i quali colpiscono anche Fluminimaggiore.

Fluminimaggiore, Piazza Gramsci: murale in ricordo dell'aggressione fascista a Salvatore Soddu.

 

Corsi non ha notizie precise, però riporta che «a Flumini, in una zuffa furibonda tra fascisti e operai, ad un fascista di Iglesias, bieca figura, che era stato uno dei più violenti comunisti (io lo ricordo con precisione fra quelli che avevano sequestrato l’ing. Binetti, direttore della Monteponi, e più gli stavano da presso mentre lo trascinavano a Iglesias), a questo fascista, dunque, viene strappata interamente un’orecchia con un morso netto e secco»; considerazione alla quale aggiunge poi: «Il fatto ci fa considerare che solo qualcuno, fra i nostri, si muove e agisce, limitandosi a simili punizioni di carattere biblico!».

Incrociando i pochi dati forniti da Corsi con i numerosi racconti, che forniranno nei decenni successivi i fluminesi, si può ricostruire l’evento in modo più preciso. La spedizione punitiva che i fascisti di Iglesias si apprestano ad attuare è in realtà destinata agli antifascisti di Arbus. Tuttavia, giunti coi sidecar nella zona de Su Ponti nou (una delle strade principali del paese di Fluminimaggiore, per chi arriva da Iglesias), i fascisti iglesienti vengono intercettati da un estimatore che consiglia loro di attendere all’uscita dal lavoro in miniera un militante socialista fluminese che merita, a suo dire, un trattamento speciale da parte delle camicie nere.

La vittima dell’aggressione, Salvatore Soddu, riesce a divincolarsi proprio con quel morso disperato (successivamente verrà individuato dalla Pubblica Sicurezza e sconterà degli anni di carcere per questo), e del quale il fascista porterà i segni a vita. L’orecchio mozzato, a quanto pare, viene trovato e portato via da un bambino del paese; ma poi se ne perdono le tracce.

Un decennio dopo, alla donna di servizio originaria del paese, il fascista senza un’orecchia dirà: «Io non odio né i fluminesi, né quel socialista che mi ha strappata l’orecchia; ma odio quell’uomo che mi ha detto di pestarlo».

    

  

La curiosa storia di questo militante comunista divenuto poi uno dei più terribili e violenti fascisti, mette in risalto una delle caratteristiche essenziali del periodo in questione: le note “crisi di coscienza” (come le identifica ironicamente Lussu); ovvero i cambi di fronte politico che scuotono continuamente i Partiti. Anche Giuseppe Pichi, esponente di assoluto rilievo del Partito Socialista di Iglesias, a seguito della fondazione del Partito Comunista d’Italia tentenna per qualche mese, aderendo dapprima al PCd’I salvo poi tornare nei ranghi del PSI sei mesi dopo. Ed è evidente e diffuso fra tutte le formazioni politiche il clima di disorientamento e ricerca di una collocazione nuova per tanti esponenti che non si riconoscono più nei loro Partiti di provenienza.

Il caso più eclatante è senz’altro quello dell’ex sindaco di Fluminimaggiore, Alcibiade Battelli. Dopo esser emigrato a causa delle persecuzioni fasciste, decide di tornare nel piccolo comune in vista delle elezioni del 1924 come personaggio di spicco della “Gironda” di Enrico Ferri; una formazione socialista ma alleata del fascismo. La reazione della popolazione sarà rabbiosa al punto che il Duce in persona dovrà desistere dal suo progetto di reintrodurre Battelli nel Sulcis-Iglesiente come punto di riferimento del nuovo sindacato fascista. A Buggerru gli operai decidono addirittura di protestare in massa contro l’annunciato ritorno dell’ex sindaco “traditore”; il tutto mentre il Generale Gandolfo, pur di convincere il Duce a tornare sui suoi passi, insinua che dietro il suo ritorno da “amico del fascismo” si celi in realtà la volontà di ricostituire il sindacato rosso.

Tutte queste “crisi di coscienza” non colpiscono invece il socialista fluminese Salvatore Soddu e il sardista Angelo Murtas, i quali collaborano per nascondere la bandiera dei Quattro Mori ricamata appositamente per la Sezione fluminese del Partito. A seguito del rogo imposto dal Podestà di tutti gli oggetti relativi ad altri Partiti, i due amici si prodigano per salvare e custodire al sicuro quel prezioso vessillo. Il simbolo del Partito Sardo d’Azione diviene così il simbolo della Resistenza al fascismo e della fratellanza fra i Partiti antifascisti fluminesi.

 

BIBLIOGRAFIA

  1. CORSI ANGELO (a cura di MANCONI FRANCESCO), Socialismo e fascismo nell’Iglesiente, in «Documenti e memorie dell’antifascismo in Sardegna, vol. 4». Cagliari: Edizioni Della Torre, 1975.
  2. GRAMSCI ANTONIO (a cura di SPRIANO PAOLO), Scritti Politici. Roma: Editori Riuniti, 1970.
  3. LUSSU EMILIO, Marcia su Roma e dintorni (1ª ed. 1945). Torino: Einaudi, 2002.
  4. MURTAS BRUNO et alii, Contus de bidda nosta, in «Quaderni di Storia Fluminese», vol. 5. Comune di Fluminimaggiore, 2001.
  5. MURTAS BRUNO, Cronaca del Novecento, in «Quaderni di Storia Fluminese», vol. 9. Comune di Fluminimaggiore, 2004.

 

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Alessandro Usai

  

 

Alessandro Usai

(Iglesias, classe 1995)

Nato a Iglesias vivo a Fluminimaggiore.

Mi occupo di Storia sociale e politica dell'Italia contemporanea e in particolare di Storia del socialismo e del comunismo.

2018 Laurea triennale in Filosofa presso l'Università degli studi di Cagliari; 2019 Percorso formativo discipline antro-psico-pedagogiche e metodologie e tecnologie didattiche presso l'Università di Cagliari; 2020 Laurea Magistrale in Filosofia e Teorie della Comunicazione (LM-78);  dal 2020 docente di Filosofia presso una scuola privata parificata.

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