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La cultura del cambiamento

Mauro Ennas

 

 

 Le vicende politiche dell'Iglesiente, dal dopoguerra ad oggi, sono state dure, intense e spesso dai risultati insoddisfacenti. Le battaglie per il lavoro, le interminabili vertenze sindacali e le proteste hanno mostrato un'incapacità delle classi dirigenti locali di mantenere in piedi processi differenziati, integrati e duraturi, non riuscendo a strutturare e implementare modelli organizzativi stabili, articolati e lungimiranti e puntando tutto su la monocultura industriale mineraria, senza alcun paracadute (se non quello delle incerte sovvenzioni statali) e con una fiducia cieca in un futuro uguale a se stesso. Ci sono stati tentativi riusciti o parzialmente riusciti, ma complessivamente, negli ultimi vent’anni, sono state attuate tattiche di corto respiro e nessuna strategia comune per garantire le nuove generazioni da un incerto futuro. È mancata la concordia e la giusta convinzione nel raggiungimento degli obiettivi, che la gente che popola questi luoghi avrebbe meritato, per il bene comune, da lungo tempo.

I nostri padri ci hanno raccontato storie di solidarietà e sofferenza, di fame sì di fame, ma anche di coraggio e intraprendenza. I lavoratori delle miniere hanno sempre messo in campo le loro forze migliori, l'umanità, la solidarietà, il coraggio, la perseveranza e la forza di volontà per ottenere un futuro migliore per i propri figli, purtroppo non su progetti occupazionali strategici, proiettati su più generazioni, ma su battaglie limitate, estenuanti e mortificanti per lo spirito e per il corpo dei lavoratori; continue battaglie importanti per mantenere il reddito e la dignità del lavoro, ma inutilizzabili per garantire una crescita economica e intellettuale dignitosa ai propri figli e nipoti. Molti vivono, ancora oggi, vite d’angoscioso silenzio… è necessario ridare voce a questi uomini e donne!

Adesso, a posteriori è facile, chi non ha vissuto quegli anni (1945-1995), neppure indirettamente, può solo sentenziare e tentare, senza mai riuscirci, di immaginare le sofferenze, i dolori, i sacrifici e i pianti di uomini adulti e maturi, incapaci di darsi pace per l'insoddisfacente andamento delle loro vite, per l'impossibilità di progettare il proprio futuro e quello dei propri figli. Ma a posteriori, analizzando freddamente il risultato finale si può tentare di comprendere come sono andate le cose, quali forze hanno determinato la stagnazione e il degrado attuale, con la povertà in crescita, la sanità smantellata dal territorio, l'istruzione in sofferenza per gli abbandoni scolastici e la disaffezione per lo studio e la cultura, nonostante lo sforzo consistente delle associazioni del territorio nell’arginare con volontà ed eroico coraggio l'insostenibile peso di una nuova caduta. Tra coloro che sono in prima linea a proporre soluzioni, ci sono spesso gli stessi che hanno determinato questa situazione, e trafficano per raccogliere, instancabili, quel che resta sotto le macerie. Intorno solo silenzio… troppe connivenze, troppi affari loschi in comune, troppe combriccole pronte ad azzannarsi per un osso sotto la tavola di antichi padroni.

Non si può prevedere il futuro, ma si possono attuare processi organizzativi in grado di anticipare gli eventi deleteri che potrebbero inficiare gli sforzi collettivi, verso l’aspirata stabilità economica e la felicità. I processi di valutazione e prevenzione del rischio hanno una base comune che si chiama formazione: suo nemico più pericoloso l’ignoranza delle classi dirigenti. La formazione e l’auto-formazione sono requisiti irrinunciabili per ogni forma di progresso.

Una comunità proiettata verso un futuro prospero non può prescindere dalla costruzione di un deposito della conoscenza collettiva, un deposito di tutte le risorse di conoscenza scritte e visuali, di conoscenza antropologica, psicologica, sociologica, economica, storica e giuridica, ma anche scientifica e tecnologica che possa essere fruita  singolarmente e/o collettivamente per incrementare il livello di cognizione dei problemi di complessità crescente che verranno sottoposti alle nuove generazioni e che sono già incombenti. Un deposito della migliore conoscenza attualmente disponibile, facilmente fruibile e facilmente condivisibile.
Chi si oppone con argomentazioni semplicistiche alla costruzione delle fondamenta dell’edificio più importante dell’intera comunità, si oppone alla sua crescita e al suo sviluppo futuro e vuole mantenere stabilmente il controllo totale su una popolazione sempre più fragile.

Un deposito della conoscenza della comunità non è un magazzino dove si accumulano cianfrusaglie inutilizzabili e ingombranti ma un luogo ordinato e funzionale alla nostra pressante esigenza di dare risposte soddisfacenti ai nostri dubbi e soluzioni consistenti ai nostri problemi e ai problemi della comunità. Un deposito della conoscenza della comunità è il luogo di generazione di nuove idee, è il luogo di incontro tra il vecchio e il nuovo, è il luogo della generazione e immaginazione di nuovi scenari, è lo spazio per creare e ricreare modelli di futuro, sostenibili dalla realtà che concretamente ci circonda.

Il cambiamento deve avere solide radici, e non le hanno l’ignoranza, il pregiudizio e la superstizione. Queste maledizioni hanno le radici fradice dell’acqua putrida del loro stesso pantano.

Una comunità proiettata verso un futuro prospero deve costruire la sua reale prospettiva a lungo termine (strategica) impegnandosi con tutte le sue forze nell’attivazione di tutte quelle strutture che le permetteranno di realizzare, con successo, processi di  partecipazione popolare e di immaginazione collettiva orientati a distribuire competenze, risorse e soddisfazioni, in attuazione del “Principio di sussidiarietà” (art. 118 della Costituzione).

Realizzare la partecipazione della popolazione ad un progetto di comunità significa mettere a disposizione, di chi ha le idee e la passione per realizzarle, le strutture comuni, adeguatamente normalizzate e pronte all’uso che s’intende fare: ciò significa, in ultima analisi, condividere un progetto e una prospettiva per il bene comune, valorizzando le competenze e le passioni, dando fiducia a chi l’ha persa, a chi ha difficoltà da superare con l’aiuto di una comunità solidale. Le persone che condividono un sogno dovranno essere messe nelle condizioni di incontrarsi e dialogare fattivamente con in mente progetti realistici e integrabili fra loro per fornire un tessuto stabile e duraturo, una rete di attività autonome ma in stretta relazione tra loro, a volte ridondanti per garantire stabilità, a volte protette per garantire un’innovazione con vantaggi collettivi. Gli spazi d’incontro potranno essere biblioteche e laboratori dove condividere idee, competenze e lavoro, dove condividere progetti e visioni del mondo. I luoghi potranno essere gli spazi di una strategia più ampia per riportare concretamente e stabilmente l’Università nei nostri territori e con essa la cultura della condivisione della conoscenza la cui assenza è la vera causa del profondo degrado che incontriamo intorno a noi, in ogni direzione. Questo tipo d’ignoranza ci irrigidisce e non ci fa accettare le critiche, non ci permette di organizzare percorsi di crescita personale e collettiva che siano basati su un apprendimento continuo e incrementale che minimizzi i nostri errori e la probabilità che questi errori si ripetano.

La mancanza di confronto costruttivo e innovativo impedisce la crescita ma rafforza il controllo totalitario di quelle lobby del territorio che vogliono soggiogare la popolazione mantenendola nell’ignoranza e nell’incapacità di progettare il proprio futuro con fiducia e soddisfazione. Chi impedisce che si costruiscano o si ammodernino le strutture della conoscenza e del dialogo, vuole deprimere lo spirito libero delle nuove generazioni per renderle schiave, dipendenti dall’arrogante altrui volontà, anziché indipendenti e intraprendenti, libere e felici di attuare progetti di sviluppo sostenibile, nel territorio nel quale sono nati, senza subire lo sradicamento che favorirebbe lo sfruttamento indiscriminato del territorio a vantaggio di pochi e senza la resistenza testarda di chi è affettivamente legato a quei luoghi.

Le risorse per attuare progetti ben concepiti per lo sviluppo dei territori sono presenti, anche a livello europeo, ed esistono bandi aperti anche ai privati: ma è necessario che i progetti siano stati concepiti in modo competente e integrato con le realtà del territorio. In questo senso ritorna la collaborazione e la formazione come motivo dominante, guida per ogni politica di sviluppo locale partecipata e sostenibile.

Costruire il futuro di un territorio impoverito dalle scelte politiche sbagliate parte dalla costruzione e dal potenziamento delle biblioteche, dall’adeguamento di laboratori e spazi pubblici per la condivisione del lavoro (co-working) su progetti concreti, parte dalla formazione e dall’autoformazione (continuous learning) su temi precisi e dispiegabili sotto forma di imprese innovative (start-up company) anche in settori tradizionali, fondendo tradizione artigiana e industriale con le nuove tecnologie, il marketing e  soprattutto il turismo. Integrare tutte le attività connesse col turismo, con produzioni medio industriali locali (a chilometro zero) e con l’industria della conoscenza e dei servizi (anche tradizionali ma supportati dalle tecnologie digitali) per poter gestire la complessità attraverso processi organizzativi innovativi e l’uso di tutte le tecnologie disponibili.

Il nostro futuro passa per la cultura dell’accoglienza e della condivisione, per la cultura della tutela ambientale, per la cultura del saper fare… per la cultura, la storia e le tradizioni di un popolo.

Il nostro futuro passa per la costruzione di un modello culturale di progresso sociale e civile, duraturo e sostenibile.

Finalmente, come se la gente contasse veramente qualcosa!

  Click to listen highlighted text!  Le vicende politiche dellIglesiente, dal dopoguerra ad oggi, sono state dure, intense e spesso dai risultati insoddisfacenti. Le battaglie per il lavoro, le interminabili vertenze sindacali e le proteste hanno mostrato unincapacità delle classi dirigenti locali di mantenere in piedi processi differenziati, integrati e duraturi, non riuscendo a strutturare e implementare modelli organizzativi stabili, articolati e lungimiranti e puntando tutto su la monocultura industriale mineraria, senza alcun paracadute (se non quello delle incerte sovvenzioni statali) e con una fiducia cieca in un futuro uguale a se stesso. Ci sono stati tentativi riusciti o parzialmente riusciti, ma complessivamente, negli ultimi vent’anni, sono state attuate tattiche di corto respiro e nessuna strategia comune per garantire le nuove generazioni da un incerto futuro. È mancata la concordia e la giusta convinzione nel raggiungimento degli obiettivi, che la gente che popola questi luoghi avrebbe meritato, per il bene comune, da lungo tempo. I nostri padri ci hanno raccontato storie di solidarietà e sofferenza, di fame sì di fame, ma anche di coraggio e intraprendenza. I lavoratori delle miniere hanno sempre messo in campo le loro forze migliori, lumanità, la solidarietà, il coraggio, la perseveranza e la forza di volontà per ottenere un futuro migliore per i propri figli, purtroppo non su progetti occupazionali strategici, proiettati su più generazioni, ma su battaglie limitate, estenuanti e mortificanti per lo spirito e per il corpo dei lavoratori; continue battaglie importanti per mantenere il reddito e la dignità del lavoro, ma inutilizzabili per garantire una crescita economica e intellettuale dignitosa ai propri figli e nipoti. Molti vivono, ancora oggi, vite d’angoscioso silenzio… è necessario ridare voce a questi uomini e donne! Adesso, a posteriori è facile, chi non ha vissuto quegli anni (1945-1995), neppure indirettamente, può solo sentenziare e tentare, senza mai riuscirci, di immaginare le sofferenze, i dolori, i sacrifici e i pianti di uomini adulti e maturi, incapaci di darsi pace per linsoddisfacente andamento delle loro vite, per limpossibilità di progettare il proprio futuro e quello dei propri figli. Ma a posteriori, analizzando freddamente il risultato finale si può tentare di comprendere come sono andate le cose, quali forze hanno determinato la stagnazione e il degrado attuale, con la povertà in crescita, la sanità smantellata dal territorio, listruzione in sofferenza per gli abbandoni scolastici e la disaffezione per lo studio e la cultura, nonostante lo sforzo consistente delle associazioni del territorio nell’arginare con volontà ed eroico coraggio linsostenibile peso di una nuova caduta. Tra coloro che sono in prima linea a proporre soluzioni, ci sono spesso gli stessi che hanno determinato questa situazione, e trafficano per raccogliere, instancabili, quel che resta sotto le macerie. Intorno solo silenzio… troppe connivenze, troppi affari loschi in comune, troppe combriccole pronte ad azzannarsi per un osso sotto la tavola di antichi padroni. Non si può prevedere il futuro, ma si possono attuare processi organizzativi in grado di anticipare gli eventi deleteri che potrebbero inficiare gli sforzi collettivi, verso l’aspirata stabilità economica e la felicità. I processi di valutazione e prevenzione del rischio hanno una base comune che si chiama formazione: suo nemico più pericoloso l’ignoranza delle classi dirigenti. La formazione e l’auto-formazione sono requisiti irrinunciabili per ogni forma di progresso. Una comunità proiettata verso un futuro prospero non può prescindere dalla costruzione di un deposito della conoscenza collettiva, un deposito di tutte le risorse di conoscenza scritte e visuali, di conoscenza antropologica, psicologica, sociologica, economica, storica e giuridica, ma anche scientifica e tecnologica che possa essere fruita  singolarmente e/o collettivamente per incrementare il livello di cognizione dei problemi di complessità crescente che verranno sottoposti alle nuove generazioni e che sono già incombenti. Un deposito della migliore conoscenza attualmente disponibile, facilmente fruibile e facilmente condivisibile. Chi si oppone con argomentazioni semplicistiche alla costruzione delle fondamenta dell’edificio più importante dell’intera comunità, si oppone alla sua crescita e al suo sviluppo futuro e vuole mantenere stabilmente il controllo totale su una popolazione sempre più fragile. Un deposito della conoscenza della comunità non è un magazzino dove si accumulano cianfrusaglie inutilizzabili e ingombranti ma un luogo ordinato e funzionale alla nostra pressante esigenza di dare risposte soddisfacenti ai nostri dubbi e soluzioni consistenti ai nostri problemi e ai problemi della comunità. Un deposito della conoscenza della comunità è il luogo di generazione di nuove idee, è il luogo di incontro tra il vecchio e il nuovo, è il luogo della generazione e immaginazione di nuovi scenari, è lo spazio per creare e ricreare modelli di futuro, sostenibili dalla realtà che concretamente ci circonda. Il cambiamento deve avere solide radici, e non le hanno l’ignoranza, il pregiudizio e la superstizione. Queste maledizioni hanno le radici fradice dell’acqua putrida del loro stesso pantano. Una comunità proiettata verso un futuro prospero deve costruire la sua reale prospettiva a lungo termine (strategica) impegnandosi con tutte le sue forze nell’attivazione di tutte quelle strutture che le permetteranno di realizzare, con successo, processi di  partecipazione popolare e di immaginazione collettiva orientati a distribuire competenze, risorse e soddisfazioni, in attuazione del “Principio di sussidiarietà” (art. 118 della Costituzione). Realizzare la partecipazione della popolazione ad un progetto di comunità significa mettere a disposizione, di chi ha le idee e la passione per realizzarle, le strutture comuni, adeguatamente normalizzate e pronte all’uso che s’intende fare: ciò significa, in ultima analisi, condividere un progetto e una prospettiva per il bene comune, valorizzando le competenze e le passioni, dando fiducia a chi l’ha persa, a chi ha difficoltà da superare con l’aiuto di una comunità solidale. Le persone che condividono un sogno dovranno essere messe nelle condizioni di incontrarsi e dialogare fattivamente con in mente progetti realistici e integrabili fra loro per fornire un tessuto stabile e duraturo, una rete di attività autonome ma in stretta relazione tra loro, a volte ridondanti per garantire stabilità, a volte protette per garantire un’innovazione con vantaggi collettivi. Gli spazi d’incontro potranno essere biblioteche e laboratori dove condividere idee, competenze e lavoro, dove condividere progetti e visioni del mondo. I luoghi potranno essere gli spazi di una strategia più ampia per riportare concretamente e stabilmente l’Università nei nostri territori e con essa la cultura della condivisione della conoscenza la cui assenza è la vera causa del profondo degrado che incontriamo intorno a noi, in ogni direzione. Questo tipo d’ignoranza ci irrigidisce e non ci fa accettare le critiche, non ci permette di organizzare percorsi di crescita personale e collettiva che siano basati su un apprendimento continuo e incrementale che minimizzi i nostri errori e la probabilità che questi errori si ripetano. La mancanza di confronto costruttivo e innovativo impedisce la crescita ma rafforza il controllo totalitario di quelle lobby del territorio che vogliono soggiogare la popolazione mantenendola nell’ignoranza e nell’incapacità di progettare il proprio futuro con fiducia e soddisfazione. Chi impedisce che si costruiscano o si ammodernino le strutture della conoscenza e del dialogo, vuole deprimere lo spirito libero delle nuove generazioni per renderle schiave, dipendenti dall’arrogante altrui volontà, anziché indipendenti e intraprendenti, libere e felici di attuare progetti di sviluppo sostenibile, nel territorio nel quale sono nati, senza subire lo sradicamento che favorirebbe lo sfruttamento indiscriminato del territorio a vantaggio di pochi e senza la resistenza testarda di chi è affettivamente legato a quei luoghi. Le risorse per attuare progetti ben concepiti per lo sviluppo dei territori sono presenti, anche a livello europeo, ed esistono bandi aperti anche ai privati: ma è necessario che i progetti siano stati concepiti in modo competente e integrato con le realtà del territorio. In questo senso ritorna la collaborazione e la formazione come motivo dominante, guida per ogni politica di sviluppo locale partecipata e sostenibile. Costruire il futuro di un territorio impoverito dalle scelte politiche sbagliate parte dalla costruzione e dal potenziamento delle biblioteche, dall’adeguamento di laboratori e spazi pubblici per la condivisione del lavoro (co-working) su progetti concreti, parte dalla formazione e dall’autoformazione (continuous learning) su temi precisi e dispiegabili sotto forma di imprese innovative (start-up company) anche in settori tradizionali, fondendo tradizione artigiana e industriale con le nuove tecnologie, il marketing e  soprattutto il turismo. Integrare tutte le attività connesse col turismo, con produzioni medio industriali locali (a chilometro zero) e con l’industria della conoscenza e dei servizi (anche tradizionali ma supportati dalle tecnologie digitali) per poter gestire la complessità attraverso processi organizzativi innovativi e l’uso di tutte le tecnologie disponibili. Il nostro futuro passa per la cultura dell’accoglienza e della condivisione, per la cultura della tutela ambientale, per la cultura del saper fare… per la cultura, la storia e le tradizioni di un popolo. Il nostro futuro passa per la costruzione di un modello culturale di progresso sociale e civile, duraturo e sostenibile. Finalmente, come se la gente contasse veramente qualcosa! Powered By GSpeech  

 

«Non si trasforma la propria vita senza trasformare se stessi.»
Simone de Beauvoir (Parigi, 1908–1986), scrittrice, saggista, filosofa francese


«Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo.»
Mahatma Gandhi (Porbandar, 1869 – Nuova Delhi, 1948), statista indiano e padre della patria

 

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