Click to listen highlighted text! Powered By GSpeech

La consapevolezza della libertà

 

 

«Or ti piaccia gradir la sua venuta:
libertà va cercando, ch'è sì cara,
come sa chi per lei vita rifiuta.
»

Dante Alighieri, Divina Commedia,
 
Libertà: non c'è forse parola più inflazionata di questa, più tradotta e spesso strumentalizzata, di certo più ambigua giacché significa tutto e il contrario di tutto.
Ma che cos'è davvero la libertà al tempo delle democrazie?
Nel I canto del Purgatorio Dante affida al pagano Catone la rappresentazione più compiuta della Libertà, poiché egli rinunciò alla vita per non cadere nella dittatura di Cesare, ormai inevitabile, e con questo incipit consacra l'intera cantica come inno alla libertà nel senso di un'emancipazione totale per l'uomo dal giogo del male che riporterà utopisticamente la società al bene supremo.
È evidente che svelare i volti di quel male ci complica le cose, perché oggi non si può più associare la libertà solo alla limitazione dei diritti individuali da parte di un potere dispotico. Ai tempi delle democrazie parlamentari celebriamo ricorrenze sulla fine dei nazifascismi con riti pubblici a cadenza annuale, deponiamo corone di fiori sui caduti per la libertà e a nessuno verrebbe in mente di mettere in discussione i presupposti liberali e libertari su cui si fondano le nostre esistenze quotidiane. Ma mentre tutto scorre, non cogliamo che anche dare per acquisito ciò che altri hanno pagato a caro prezzo è una gravissima e spesso inconsapevole mancanza di libertà perché ci priva di obiettiva e lucida capacità di analisi sul presente che viviamo, rendendoci spettatori inconsapevolmente passivi della nostra stessa esperienza.
 
Fai click sull'immagine per scaricare l'opera riferita
 

La prima cosa che mi viene in mente è che per esercitare autenticamente la nostra libertà personale è necessario mettere in discussione le nostre certezze, dubitare e, se occorre, lottare contro quella che Mill, nel suo saggio su "La libertà" nel 1800, chiamava "tirannia della maggioranza", che oggi corre alla velocità dei pixel attraverso i potentissimi mezzi di massa imponendo canoni di bellezza, regole di condotta, opinioni prevalenti e perfino costruendo a tavolino sentimenti ed emozioni. Si tratta di una guerra spietata contro lo sviluppo e la formazione di qualsiasi individualità e creatività personale e irripetibilmente originale.

Nella società capitalizzata dalla tecnologia e da un'ossessione sfrenata per l'utilità economica, essere fotocopie pare un imperativo categorico e soprattutto subdolo, dunque poco riconoscibile: di questo principio che governa le nostre vite sembra che siamo poco consapevoli: siamo schiavi senza saperlo.

Ci sono prigioni ben peggiori di quelle conclamate e palesi che suscitano la nostra indignazione: è forse libero chi non lavora o non lo fa stabilmente?

È libero chi si deve adattare a un lavoro che non ama?

È libero chi non ha il coraggio di prendere parola in un'assemblea dove sente che la maggioranza sta assecondando una decisione sbagliata che avrà conseguenze irrimediabili nella vita collettiva?

È libero chi corteggia il potere mentre dovrebbe servire la verità che non può essere serva di nessuno se non di se stessa?

È libero chi non può garantire l'istruzione come percorso completo ai propri figli o per barriere economiche o per limiti culturali che in alcuni contesti periferici si trasmettono spietatamente di padre in figlio, in barba ai dettami costituzionali?

La riflessione lucida e obiettiva sul vissuto, hic et nunc, è la prima condizione di un'autentica libertà, cosa peraltro difficilissima perché imporrebbe di prendere le distanze dal momento storico di cui si è protagonisti ed essere onesti e critici osservatori della propria epoca è una libertà che ha sempre un costo personale elevato: espone e condanna alla solitudine giacché la massa, come hanno dimostrato molti psicologi contemporanei (Milgram, Sherif, Asch, per citarne solo alcuni) in condizioni d'incertezza, tende a uniformarsi su valutazioni e soluzioni condivise e rassicuranti senza porsi il problema della giustezza o meno di quello che pensa. È molto più facile ottemperare al manzoniano "ai posteri l'ardua sentenza" sospendendo il giudizio e delegandolo a chi rileggerà la storia a posteriori.

Catone scelse il suicidio per restare fedele a se stesso nella consapevole impossibilità di incidere sul cambiamento. Una soluzione che ha molti altri sostenitori nel corso della tradizione culturale italiana: dovremmo ricordare Jacopo Ortis che finisce i suoi giorni sui Colli Euganei infliggendosi la morte come gesto di estrema ribellione e sconfitta di fronte a una titanica lotta contro l'oppressione del regime napoleonico. "ll sacrificio della patria nostra è consumato" dirà nella lettera di apertura del romanzo, con disincanto nostalgico per un'epoca promessa dalla Rivoluzione, ma che si presentò invece come un imperdonabile tradimento.

 
 Fai click sull'immagine per scaricare l'opera riferita

 

Cosi gli eroi alfieriani, sconfitti nell'aspirazione alla libertà irraggiungibile nell'economia dell'esistenza concreta ma non nella loro tensione morale verso l'infinito. C'è una libertà, infatti, che è metafisica condizione interiore, naturale nelle anime elette e non può essere costretta da alcuna categoria terrena ed essa è umana e transumana nello stesso tempo.

Così Leonardo Sciascia scriveva di Gramsci: "Bisogna tener conto che egli scrive in carcere, non ha a soccorrerlo che pochi libri e la sua limpida e certa memoria: e in quel silenzio fisico che lo circonda, che porterebbe altri alla fiacchezza e alla disperazione, egli miracolosamente diviene, idealmente accanto a Benedetto Croce, l’uomo più libero che sia possibile trovare nell’Italia del fascismo. Non diciamo libero nel pensare politico soltanto, ma nella più ampia e sconfinata libertà intellettuale."

E infatti il suddito perfetto non è, come diceva Hanna Arendt ("Le origini del totalitarismo"), il nazista o il comunista convinto, ma l'uomo in cui sia caduto ogni confine tra vero e falso, tra verità e menzogna: "la verità vi farà liberi", recita un noto passo evangelico, che risuona potente come richiamo universale affinché viviamo in pienezza la nostra dimensione umana e critica negli spazi che occupiamo, scegliendo di mostrare volti e non maschere, per parafrasare Pirandello, e non rinunciando alla lotta e al sogno di miglioramento.

 Fai click sull'immagine per scaricare l'opera riferita

 

Sarà difficile pensare a un ritorno dei vecchi totalitarismi perché il mondo si rinnova continuamente e trova altre strade per ripetere gli stessi errori. Il totalitarismo in cui siamo dentro è cominciato nell'era postmoderna, con la società di massa, la solitudine dell'uomo, la sua alienazione dai meccanismi perversi dello sviluppo economico, che non va confuso con il progresso, come ci ammonisce Pasolini negli Scritti Corsari, che è appunto un processo di elevazione umana e morale, di miglioramento dell'esistenza a partire da basi anche materiali: servirsi delle innovazioni e non diventarne servi.

La Arendt, Gramsci, ci ricordano inoltre che tutte le forme di totalitarismo sono state e sono possibili anche per la complicità, la passività, l'indifferenza di molti: chi sceglie di non scegliere, in realtà ha già scelto, per sé e per tutti, di limitare l'esercizio autentico e gli spazi della libertà collettiva, perché come sosteneva Gaber "la libertà è partecipazione", nel senso che ha anche una dimensione condivisa, partecipata appunto.

La scuola dovrebbe essere il luogo ideale di questo esercizio: studiare, forgiarsi attraverso le discipline, mettere in connessione il passato e il presente, allenarsi alla complessità e alla fatica, libera e, una volta fatta questa scoperta, non si potrà più tornare indietro.

 
Psicologia sociale: esperimento di Milgram
 
 
Psicologia sociale: esperimento di Sherif
 
 
 
Psicologia sociale: esperimento di Asch

 

 

Della stessa autrice

   I sudditi del dio rosso di Maria Grazia Serra a cura di Giorgia Loi

 

Leggi anche

   La parola crea il mondo – nel bene e nel male a cura di Arnaldo Scarpa

   Ingiustizie: ieri e oggi a cura di Daniela Aretino Dessì

   La cultura del cambiamento a cura di Mauro Ennas

   Tra ragione e passione a cura di Mauro Ennas

   Cultura significato e suggestioni a cura di Mauro Ennas

 

 

 

 

Giorgia Loi

(Iglesias, classe 1972)

Ha conseguito la laurea in Lettere Classiche presso l’Università degli Studi di Cagliari nel 1999 con una tesi in filologia latina. Nel 2010 ha pubblicato “Lettera a Helena” con la casa editrice Il filo. Nel 2014 pubblica il romanzo storico “Cristalli di quarzo” con l’editore Il Ciliegio; l’opera ottiene una Segnalazione al Premio “Il Paese delle donne” (Roma) nel novembre 2014. Nel settembre 2017 pubblica con l’editore Il Ciliegio il romanzo di formazione “Fill’e fortuna”.

Nell’ottobre 2018 ottiene il 1° Premio Letterario Internazionale Città di Sassari con la poesia inedita “Ballata di miniera”.

Nel luglio 2020 pubblica con l’editore Il Ciliegio il giallo storico “Il fiore selvatico del Guilcer”.

Attualmente insegna letteratura italiana e storia nella scuola superiore.

 

Aggiungi commento

I commenti possono essere anonimi.
Se il nome è già presente cambia il nome finché ne trovi uno non presente.
Commenti brevi e circostanziati. Grazie!
Questo sito non raccoglie dati personali.
Se volete lasciate un riferimento volontario alla fine del testo (ad esempio nome completo e/o e-mail).
I messaggi poco significativi saranno rimossi.

Codice di sicurezza
Aggiorna

Click to listen highlighted text! Powered By GSpeech