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Gramsci e il Sulcis-Iglesiente

Tra la straordinaria mole di riflessioni lasciateci da Antonio Gramsci (1891-1937) è noto che si possano trovare numerosissimi passi relativi alla Sardegna, ad una analisi del suo tessuto sociopolitico e del suo percorso storico. Meno noto è invece il grande interesse che il comunista sardo ebbe, sin dai primi anni della sua militanza politica e giornalistica a Torino, nei confronti di una zona peculiare dell’isola: il Sulcis-Iglesiente.

Dietro questo interesse così specifico, vi era la consapevolezza di Gramsci che si trattasse di un microcosmo di assoluto rilievo, di fatto unica realtà operaia in Sardegna. Ciò derivava dalla presenza massiccia delle miniere e delle associate Società per l’attività estrattiva, che determinò la formazione di una folta classe operaia di minatori sparsi nella zona sulcitana.

Dalla seconda metà del XIX secolo, la Sardegna si configurava perciò come un territorio a trazione senza dubbio agricola e rurale – come il restante Mezzogiorno – ma con l’eccezione del bacino minerario del sud-ovest.

La sua terra natia rappresentava dunque un oggetto di studio straordinario, con questa inusuale divisione sociale che rendeva il Sulcis-Iglesiente paradossalmente più affine alle realtà industrializzate del nord Italia, ma il tutto applicato ad uno dei territori più poveri ed arretrati in assoluto del Paese.

Sfruttando queste caratteristiche peculiari del Sulcis, si crearono le condizioni propizie per lo sviluppo del Partito Socialista in questa porzione d’isola. Persistevano invece le enormi problematiche ad affermarsi nel mondo rurale e, d’altronde, i socialisti decisero di focalizzare i loro sforzi quasi esclusivamente nella organizzazione degli operai di miniera, dimostrandosi quantomeno poco motivati – se non volontariamente disinteressati – alla disamina delle problematiche e delle esigenze dei contadini sardi. A partire da questo retroscena si può leggere l’attività pioneristica di esponenti socialisti “continentali” come Giuseppe Cavallera ed Alcibiade Battelli, che ebbero un ruolo determinante nella fondazione delle Leghe e della Federazione dei minatori[1].

Il lavoro di organizzazione e gestione sindacale dei socialisti nel Sulcis sfociò nei successi elettorali del 1914, che portarono il PSI ad insediarsi fondamentalmente in tutti i comuni del bacino minerario. Oltre a Carloforte, già “rossa”, vennero conquistati i comuni di Iglesias, Gonnesa, Domusnovas, Fluminimaggiore, Portoscuso e Calasetta. Questa circostanza venne sottolineata con orgoglio proprio da Gramsci, che in un articolo sull’Avanti! del 16 aprile 1919, si congratulava proprio con l’amministrazione comunale del capoluogo sulcitano perché «a Iglesias e in molti paesi della provincia di Cagliari funziona il comune socialista»[2].

Il riferimento di Gramsci al comune di Iglesias non fu affatto casuale: il politico sardo, già da anni, aveva gli occhi puntati su quella zona dell’isola. È del 22 ottobre 1917 una appassionante lettera che egli inviò proprio al sindaco di Iglesias, Angelo Corsi (1889-1966). Questi fu uno dei personaggi più noti ed influenti del socialismo sardo, giunto in Sardegna qualche anno dopo Cavallera e salito alla ribalta politica molto precocemente; fu sindaco del capoluogo minerario dal 1914 al 1921, rappresentando l’ala riformista del PSI[3]. Il contenuto della lettera è notevole perché Gramsci elogiava il lavoro del compagno, proponendogli una collaborazione col Grido del Popolo – giornale del quale era in quel momento redattore – nell’ottica di «far conoscere la Sardegna nuova nell’alta Italia»[4]; ovvero mostrare a tutto il movimento socialista nazionale i grandi passi compiuti nell’isola, con l’obiettivo di analizzare il movimento politico economico del proletariato sardo.

Lettera di Antonio Gramsci ad Angelo Corsi (Torino, 22 ottobre 1917). Nella lettera, Gramsci invita Corsi, sindaco di Iglesias dal 1914, a scrivere un articolo sul problema della libertà doganale per il «Grido del popolo», di cui è diventato redattore. Pubblicata da Corsi in L’azione socialista fra i minatori della Sardegna, cit., la lettera è stata riprodotta in Antonio Gramsci e la questione sarda, cit., pp. 85-86.
 

Torino, 22 ottobre

Caro compagno Corsi,

il compagno Sotgia di Iglesias mi parla spesso della tua cordialità e del tuo amore per la trattazione dei problemi concreti che rientrano nel programma del nostro partito. Mi sono così deciso a scriverti. Ti conoscevo un po’ di nome: ho letto un tuo articolo nell’Avanti! e uno nella Voce di Prezzolini qualche anno fa, ho seguito nella Sardegna socialista la tua operosità di sindaco e di consigliere provinciale. Poiché la Sezione torinese mi ha incaricato temporaneamente di redigere il Grido del Popolo mi piacerebbe poter pubblicare qualche tuo scritto. Ti spedisco a parte il numero del Grido dedicato al problema doganale. Potresti, sull’argomento, scrivere qualcosa? Te ne sarei gratissimo, e te ne sarebbero gratissimi i lettori. Potresti tu stesso scrivere qualche articolo sul movimento politico economico del proletariato sardo? O vuoi aver la bontà di incaricare qualcuno capace di farlo? Credo sia utile far conoscere la Sardegna nuova nell’alta Italia, e credo che sia anche doveroso per meglio rinsaldare la coscienza unitaria del proletariato italiano.

Attendo una tua risposta. Il compagno Sotgia ti saluta.

Cordialmente

Antonio Gramsci

Corso Siccardi 12 Torino

 

Questo acquisisce ancor più valore storico alla luce del fatto che, contestualmente, Gramsci stava portando avanti una serrata critica nei confronti del socialriformismo – corrente della quale Corsi era un esponente di assoluto spicco – e si stava allontanando sempre più dalle posizioni ufficiali del PSI. Infatti, già dal 1917, mentre imperversava ancora la guerra, Gramsci inasprì una forte polemica, specie con Turati e Treves – dirigenti socialriformisti, in ottimi rapporti con Corsi medesimo – per via dell’atteggiamento fatto assumere al PSI dinanzi agli scioperi per il carovita, causati dalla crisi di guerra. In questa occasione il socialriformismo, da corrente maggioritaria nel partito, cercò di distogliere le masse dall’idea di proseguire ed intensificare gli sforzi negli scioperi, in nome di una unità del Paese dinanzi al dramma della guerra[5]. Per Gramsci, la linea tenuta dal suo partito era «la politica di evitare il problema fondamentale, quello del potere, e di deviare l’attenzione e le passioni delle masse su obiettivi secondari, di nascondere ipocritamente la responsabilità storico-politica della classe dominante»[6].

Gramsci era influenzato notevolmente dalle posizioni di Lenin: la Rivoluzione d’ottobre, che portò i bolscevichi al potere in Russia, iniziò nemmeno un mese dopo l’invio della sopracitata lettera a Corsi. Ispirato dai Soviet e consapevole del momento storico cruciale, il futuro dirigente comunista accusava il PSI di voler fare la rivoluzione solo a parole, mentre poi nei fatti si rifiutava ogni tipo di azione realmente rivoluzionaria che derivasse dalla volontà popolare.

Al netto di tutto ciò, il fatto che Gramsci si rivolse al riformista Corsi con questi termini entusiastici è il segno che, quando si trattava di studiare la realtà della Sardegna e la comprensione delle sue dinamiche sociopolitiche, Gramsci abbandonava qualsiasi tipo di semplificante fissismo definitorio e classificatorio, per abbracciare un’impostazione più aperta, attenta a valutare senza pregiudizio l’operato di esponenti anche distanti politicamente. Questo è uno dei cardini fondamentali della visione gramsciana sul ruolo degli intellettuali, nella misura in cui, attraverso la propria peculiare forma di elaborazione teorica, indipendentemente dalla loro estrazione sociale o politica, possano contribuire a spandere la forza viva del proletariato e il suo ruolo di protagonista nella storia[7].

In questo caso specifico, Corsi rappresentava l’acutezza e la caparbietà di un dirigente locale che conosceva molto bene lo spirito e le aspirazioni della classe operaia più sfruttata, in una zona dimenticata dallo Stato italiano. Gramsci ne affermava le indubbie qualità, e avendo la forte motivazione di comprendere nel profondo la sua terra natia, sapeva anche che il punto di osservazione privilegiato di Corsi, così interno alle dinamiche di quella piccola porzione di isola industrializzata, era di importanza capitale per chiarire quelle di tutta la Sardegna e dell’Italia intera.

La volontà ferrea di Gramsci, sin da principio, era quella di evidenziare tutti quelli che definiva, sempre nel 1919, «i dolori della Sardegna»[8]. Dolori di una terra relegata allo stato di colonia, dove le condizioni di vita erano terribili – come peraltro già ampiamente dimostrato dall’inchiesta parlamentare dell’on. Pais-Serra, nel 1896[9] – e persistevano ad esserlo, a causa di quella che Gramsci definiva l’infamia della politica liberale e dei ceti economici che la sostennero[10].

 

«Perché deve essere proibito all’ “Avanti!” ricordare che a Torino hanno la sede i consigli d’amministrazione delle Ferrovie sarde e di qualche società mineraria sarda? Perché deve essere proibito ricordare che gli azionisti delle Ferrovie sarde, i quali si dividono lautissimi dividendi, i quali riscuotono dallo Stato lautissime indennità per ogni chilometro di strada ferrata, fanno viaggiare i pastori e i contadini sardi in vetture bestiame, fanno pagare ai pastori e ai contadini sardi tariffe altissime, fanno viaggiare i contadini e i pastori sardi in convogli trainati da locomotive riscaldate a legna invece che a carbon fossile, provocando ogni anno centinaia di migliaia di lire di danni con gli incendi determinati da questo combustibile?

Perché non si può ricordare che i minatori sardi sono pagati con salari di fame, mentre gli azionisti torinesi impinguano i loro portafogli coi dividendi cristallizzati con sangue dei minatori sardi, che spesso si riducono a mangiare le radici per non morire di fame? Perché deve essere proibito ricordare che due terzi degli abitanti della Sardegna (specialmente le donne e i bambini) vanno scalzi d’inverno e d’estate, tra le spine e i letti di torrente che tengono posto di strade, perché il prezzo delle pelli è portato ad altezze proibitive dai dazi protettori che arricchiscono gli industriali torinesi del cuoio, uno dei quali è presidente della Camera di Commercio di Torino? Perché è proibito ricordare ciò che ha detto, nell’ultimo congresso sardo tenuto a Roma, un generale sardo: che cioè, nel cinquantennio 1860-1910, lo Stato italiano, nel quale hanno sempre predominato la borghesia e la nobiltà piemontese, ha prelevato dai contadini e pastori sardi 500 milioni di lire che ha regalato alla classe dirigente italiana non sarda? Perché è proibito ricordare che nello Stato italiano, la Sardegna dei contadini, dei pastori e degli artigiani è trattata peggio della colonia eritrea, in quanto lo Stato “spende” per l’Eritrea, mentre sfrutta la Sardegna, prelevandovi un tributo imperiale? Perché è proibito ricordare che i minatori, i contadini, i pastori e gli artigiani del collegio di Iglesias hanno eletto un deputato socialista, il compagno Cavallera?[11]»

In questo intenso articolo, dove denunciava l’intervento nefasto della censura in Italia, si evince tutto il “sardismo” di Gramsci; caratteristica che si portò dietro durante tutta la sua carriera politica. E fu un orientamento peculiare, volto a risvegliare le coscienze per fomentare la rivoluzione proletaria. Nella sua visione, il “sardismo” e il concetto di “autonomia” – concetti fondanti del Partito Sardo d’Azione e dell’opera politica di Emilio Lussu – sono da considerare in senso socialista:

 

«Espropriando i grandi capitalisti, il socialismo farà sì che le miniere dell’Iglesiente siano dei sardi e non degl’inglesi, che le ferrovie sarde siano dei sardi e non dei capitalisti torinesi, che le grandi “tancas” siano dei contadini sardi e non di proprietari francesi o italiani del continente, che i caseifici siano dei pastori sardi e non dei capitalisti romani o dell’isola di Ponza. Il trionfo del socialismo vorrà dire la Sardegna, ai contadini, ai pastori e agli operai della Sardegna, ai figli di Sardegna che lavorano e sono costretti ad andare in America per guadagnare un tozzo di pane»[12].

 

Per giunta, i proletari sardi potevano contare sul supporto dei proletari di tutta l’Italia e di tutti gli altri Paesi, proprio in virtù del fatto che il “sardismo” non doveva essere concepito come una chiusura autoreferenziale dei sardi ad ogni contatto con l’esterno: «Cosa vogliono gli operai torinesi, cosa vuole la Camera del lavoro di Torino? Il socialismo. Cosa vogliono i contadini, i pastori, gli operai di Sardegna? Il socialismo. Per la stessa fede, essi sono dunque fratelli, non sono nemici; come fratelli devono amarsi e aiutarsi reciprocamente»[13].

La conoscenza dei fatti storici accaduti nel Sulcis-Iglesiente era sostanziale per la formazione di queste teorie gramsciane: «L’isola di Sardegna fu letteralmente rasa al suolo come per un’invasione barbarica; caddero le foreste – che ne regolavano il clima e la media delle precipitazioni atmosferiche – per trovare merce facile che ridesse credito, e piovvero invece gli spogliatoi di cadaveri, che corruppero i costumi politici e la vita morale»[14]; è evidente che Gramsci si riferisse anche alla attività di disboscamento massiccio che investì proprio i monti tra Iglesias e Fluminimaggiore, precisamente nella zona del borgo di S. Angelo, dove agiva da decenni la società mineraria di proprietà della famiglia Modigliani.

 

Riprendendo da Marx quella visione dialettica che già fu di Hegel, Gramsci si innesta perfettamente in una tradizione di pensiero che ha “incarnato” l’idealismo ottocentesco tramutandolo in una filosofia della praxis, ovvero il materialismo storico. Ridotta alla sua semplicità più vera, la dialettica si mostra come la facoltà della Ragione umana di confrontare tesi e antitesi per ottenere spiegazioni via via sempre più efficaci della realtà che viviamo. E occorre saper formulare equilibrate miscele di analisi e sintesi: la prima permette di scandagliare con precisione il fatto singolo, ed è come utilizzare una potente lente di ingrandimento che mostra il particolare; la seconda permette di avere una visione d’insieme, globale. Saperle combinare significa evitare risposte troppo facili, speculazioni prive di fondamento e, soprattutto, fraintendimenti tipici dello squilibrio fra i due percorsi conoscitivi.

Si osservi attentamente il fuoco di un camino: operare uno zoom notevole permetterà di analizzare con una precisione dettagliatissima ogni crepitio come non mai; ma se si avesse solo quel punto di osservazione, così ingrandito e totalmente pervaso dalle fiamme intense, si potrebbe facilmente incappare nell’errore di credere che si è in balia di un incendio colossale. Per evitare questo, occorre avere sempre chiara in mente l’idea globale e sintetica di cosa sia l’oggetto osservato. Viceversa, pensare il fuoco di un camino in modo troppo generale, può creare le condizioni favorevoli per una considerazione sommaria di cosa si ha davanti, dimenticando che è pur sempre un fuoco e che, sottovalutato, potrebbe sfuggire al controllo e creare dei danni; anche irreparabili.

Ecco quindi la cifra essenziale dell’impostazione gramsciana, che è una vera e propria eredità filosofica, direttamente correlata col suo essere sardo: la capacità di connettere “macro” e “micro”, “piccolo” e “grande”, optare sempre per una visione dialettica fra gli opposti, capace di non annullare una delle forze in causa a favore dell’altra, ma elaborando continue sintesi delle due che riducano al minimo la possibilità di cadere nelle facili contraddizioni, tipiche di una classe politica corrotta e opportunista. In Gramsci, il confronto dialettico, sfociante in una sintesi, diventava il dibattito fra “vecchio” e “nuovo”, fra “arretratezza” e “progresso”; dunque anche fra meridione e settentrione.

In altre parole, l’interesse così radicale e il legame indissolubile con la Sardegna che Gramsci ebbe costantemente nell’arco di tutta la sua vita erano – oltre che evidenti segni dell’amore per la sua terra – strumenti efficaci per lo sviluppo della sua coscienza critica di pensatore. Se è vero che Gramsci fu anche – o soprattutto? – un filosofo, è vero anche che la filosofia gramsciana riverberò del suo essere sardo; come ha scritto Alfonso Leonetti: «il ciclo gramsciano, nato sardo, muore sardo, senza nulla perdere del suo carattere internazionale»[15].

Quando Gramsci lasciò su carta l’enorme “testamento politico” dei Quaderni del carcere, ponendo per iscritto la sua visione del mondo, lo fece proprio alla luce del suo metodo filosofico di indagine storico-politica: per conoscere questo mondo, occorre essere capaci di connetterne le sue parti, e porle in comunicazione incessante. E quindi, in poche parole, comprendere le dinamiche interne dell’Italia, significa saperle comprendere e confrontare con la realtà della Sardegna, ed a sua volta anche con la realtà di un piccolo ma speciale territorio come il Sulcis-Iglesiente; in un processo che si svolge in entrambi i “sensi di marcia”.

 

 

BIBLIOGRAFIA

CORSI ANGELO (a cura di MANCONI FRANCESCO), Socialismo e fascismo nell’Iglesiente, in «Documenti e memorie dell’antifascismo in Sardegna (vol. 4)». Cagliari: Edizioni Della Torre, 1975

CORSI ANGELO, L’azione socialista tra i minatori della Sardegna (1898-1922). Milano: Edizioni di comunità, 1959

CUCCU ALESSANDRO, Angelo Corsi: l’azione socialista in Sardegna tra età liberale e fascismo. Iglesias: Associazione Minatori Nebida, 2020

GRAMSCI ANTONIO (a cura di CAPRIOGLIO SERGIO), Cronache Torinesi (1913-1917). Nuovi contributi. Torino: Einaudi, 1980

GRAMSCI ANTONIO (a cura di GERRATANA VALENTINO), Quaderni del carcere (1ª ed. 1948-1951). Torino: Einaudi, 1975

GRAMSCI ANTONIO (a cura di MELIS GUIDO), Antonio Gramsci e la questione sarda, in «Documenti e memorie dell’antifascismo in Sardegna (vol. 2)». Cagliari: Edizioni Della Torre, 1975.

GRAMSCI ANTONIO, La costruzione del Partito Comunista (1923-1926). Torino: Einaudi, 1971

MANCONI FRANCESCO, Giuseppe Cavallera e i lavoratori del mare di Carloforte (1897-1901). Cagliari: Edizioni Della Torre, 1977

PAIS-SERRA FRANCESCO, Relazione dell’inchiesta sulle condizioni economiche e della pubblica sicurezza in Sardegna promossa con decreto ministeriale del 12 dicembre 1894. Roma, 1896

 

NOTE

[1]
Cfr. F. MANCONI, Giuseppe Cavallera e i lavoratori del mare di Carloforte (1897-1901). Cagliari: Edizioni Della Torre, 1977.

[2]
A. GRAMSCI (a cura di G. MELIS), Antonio Gramsci e la questione sarda, in «Documenti e memorie dell’antifascismo in Sardegna (vol. 2)». Cagliari: Edizioni Della Torre, 1975, pag. 96.

[3]
Per un approfondimento esaustivo sulla figura di Corsi si rinvia al prezioso lavoro biografico: A. CUCCU, Angelo Corsi: l’azione socialista in Sardegna tra età liberale e fascismo. Iglesias: Associazione Minatori Nebida, 2020; oltre che a: A. CORSI (a cura di F. MANCONI), Socialismo e fascismo nell’Iglesiente, in «Documenti e memorie dell’antifascismo in Sardegna (vol. 4)». Cagliari: Edizioni Della Torre, 1975; ed infine le memorie del politico: A. CORSI, L’azione socialista tra i minatori della Sardegna (1898-1922). Milano: Edizioni di comunità, 1959.

[4]
A. GRAMSCI, Antonio Gramsci e la questione sarda, op. cit., pag. 86.

[5]
Cfr. A. GRAMSCI (a cura di S. CAPRIOGLIO), Cronache Torinesi (1913-1917). Nuovi contributi. Torino: Einaudi, 1980, pag. XXXIII-XXXIV.

[6]
A. GRAMSCI (a cura di V. GERRATANA), Quaderni del carcere (1ª ed. 1948-1951). Torino: Einaudi, 1975, vol. I, pag. 322.

[7]
Cfr. A. GRAMSCI, La costruzione del Partito Comunista (1923-1926). Torino: Einaudi, 1971, pag. 150.

[8]
A. GRAMSCI, Antonio Gramsci e la questione sarda, op. cit., pag. 94.

[9]
Cfr. F. PAIS-SERRA, Relazione dell’inchiesta sulle condizioni economiche e della pubblica sicurezza in Sardegna promossa con decreto ministeriale del 12 dicembre 1894. Roma, 1896.

[10]
A. GRAMSCI, Antonio Gramsci e la questione sarda, op. cit., pag. 88.

[11]
Ivi, pag. 94-95.

[12]
Ivi, pag. 99.

[13]
Ibidem.

[14]
Ivi, pag. 88-89.

[15]
A. LEONETTI, Una lettera di Alfonso Leonetti, in A. GRAMSCI, Antonio Gramsci e la questione sarda, op. cit., pag. 6.

 

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Alessandro Usai

  

 

Alessandro Usai

(Iglesias, classe 1995)

Nato a Iglesias vivo a Fluminimaggiore.

Mi occupo di Storia sociale e politica dell'Italia contemporanea e in particolare di Storia del socialismo e del comunismo.

2018 Laurea triennale in Filosofa presso l'Università degli studi di Cagliari; 2019 Percorso formativo discipline antro-psico-pedagogiche e metodologie e tecnologie didattiche presso l'Università di Cagliari; 2020 Laurea Magistrale in Filosofia e Teorie della Comunicazione (LM-78);  dal 2020 docente di Filosofia presso una scuola privata parificata.

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