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Archivi digitali

Mauro Ennas intervista Daniela Aretino Dessì per il Blog collettivo iglesiente.

Il suo impegno ultra ventennale nella divulgazione della storia della città l'ha portata in una posizione di rilievo nell'ambito culturale dell'intero territorio iglesiente. Costantemente impegnata, su più fronti nella valorizzazione culturale territoriale, con ricerche, relazioni, seminari, conferenze e lezioni frontali e in differita, per le scuole e le associazioni del territorio. La sua azione instancabile, appassionata e costante di promozione della storia della nostra città ha come centro nevralgico l'Archivio storico comunale di Iglesias e i quasi otto secoli di storia della città. Ci piacerebbe sapere da lei come si sono evoluti gli archivi storici, con particolare riferimento all'Archivio storico di Iglesias, e qual è lo stato evolutivo attuale, quali strumenti, quali nuovi metodi e quali le speranze e le prospettive per l'acquisizione di conoscenza e consapevolezza storica territoriale.

La ringrazio, anche a nome del Blog collettivo iglesiente, per avere accettato di rispondere a questa intervista e per il suo impegno costante nella ricerca e nella divulgazione storica del nostro territorio, mirata alla crescita culturale e civile delle popolazioni delle nostre comunità e del territorio del sud-ovest sardo.

Grazie per essersi resa disponibile!

Innanzitutto potrebbe cercare di ricostruire com'è nato il suo impegno per la storia dell'Iglesiente? Lei è nata in Svizzera da emigrati iglesienti, quali elementi della sua infanzia e della sua formazione hanno influito nelle sue scelte di vita e di impegno culturale? Ci parli di lei stimolando i lettori con qualche suggestione.

Grazie a voi anzitutto per avermi chiesto un contributo che, spero, possa risultare utile in qualche modo.

Parto dal presupposto che ognuno di noi è unico poiché è la risultante di moltissimi fattori: l’educazione, le esperienze di vita, il contesto in cui si cresce, la risposta individuale a tutti questi elementi. E ciò per dire che sulla mia infanzia e formazione non ho nulla di particolare da raccontare anche se, stimolata da questa domanda, riesco a individuare alcuni momenti e aspetti che, in qualche modo, hanno poi influenzato fortemente il mio divenire e, poi, la mia passione per … la cultura.

Bambina timidissima, ricordo ancora un abat-jour arancione (che chiamai Truciolo in riferimento al ballerino dai lunghi capelli biondi che spopolava in tv alla fine degli anni ‘70), compagno delle mie letture notturne "proibite" (nel senso che mi era proibito leggere ancora dopo l’ora della buonanotte ma io, con l’abat-jour nascosto sotto le coperte, trasgredivo spesso). La lettura è stata mia compagna fin dall’età di 5 anni (entrai a scuola in seconda elementare dopo aver fatto la cosiddetta “primina” proprio a 5 anni e dopo aver sostenuto il mio primo esame all’età di sei anni appena compiuti): Il Milione, Le avventure di Huckleberry Finn, Heidi, e molti altri. Li divoravo.

Un passaggio fondamentale nella costruzione della futura dottoressa Aretino avvenne in quinta elementare. Neanche 10 anni, viaggiavo con lo scuolabus (allora era “il pullmino”) per recarmi a scuola dalla periferia di Iglesias in cui, proprio da poco, ci eravamo trasferiti. Quel giorno eravamo particolarmente in ritardo e, insieme a una mia compagna di classe, non so bene come, decidemmo di non entrare a scuola per non essere rimproverate dalla maestra. Mal ce ne colse! I miei genitori, avvisati, non so come, dalla maestra, anche se non esisteva ancora il registro elettronico, mi propinarono una ramanzina, anzi, direi una strigliata tale che da allora imparai la lezione: sii corretta, fai quel che devi, non farti trascinare e prosegui per la tua strada.

Altra tappa che ritengo importante è quella che mi vide, credo nel 1986, intervenire pubblicamente davanti a un centinaio di persone, forse più, in occasione di una manifestazione, che si svolse nell’Aula Magna dell’Istituto Minerario, a proposito del caso di Paula Cooper, la ragazzina americana che, avendo commesso un omicidio, era stata condannata alla sedia elettrica a soli 15 anni. In quell’occasione intervenne anche la prof.ssa Carol Beebe Tarantelli, vedova di Ezio Tarantelli, economista ucciso dalle Brigate Rosse nel 1985, che si sarebbe interessata al tema della pena di morte più e più volte anche da deputata del Parlamento italiano. Tornata al posto dopo il mio intervento, dietro di me un giovanissimo giornalista di nome Mauro Pili, il futuro sindaco di Iglesias, mi chiese il nome e l’età. Fu la prima di molte successive volte in cui finii sul giornale, ma non ricordo assolutamente cosa dissi. Doveva essere qualcosa di interessante visto l’applauso del pubblico, costituito per la maggior parte da miei coetanei, e la citazione sul giornale (devo provare a procurarmene una copia prima o poi). Capii che forse, comunque, avevo qualcosa da dire.

In questo quadro inserisco anche la mia scelta del Liceo Scientifico quale percorso ottimale che mi conducesse all’Università. Scartato per cause di forza maggiore il liceo Linguistico (mi sarei dovuta trasferire, a soli 13 anni, a Santu Lussurgiu, in un convitto, ma i costi non erano sostenibili per la mia famiglia di quattro persone con la sola entrata di uno stipendio da operaio), sapevo solo che avrei continuato a studiare. Lo promisi a me stessa e ai miei genitori.

Carol Beebe Tarantelli, pg. 6-8 del pdf, Atti Parlamentari — 36834 - 36836 — Camera dei Deputati X LEGISLATURA - DISCUSSIONI - SEDUTA DEL 3 AGOSTO 1989

La sua passione per la storia del territorio è una passione antica nonostante lei sia giovanissima, come si è evoluta e quali sono le conclusioni che è riuscita a raggiungere?

È stato proprio durante i 5 anni di Liceo che ho maturato fortemente la mia passione per tutto ciò che può essere definito “cultura”. I miei interessi hanno spaziato dalla lingua e letteratura latina alla geografia astronomica, dalla biologia alla filosofia, senza dimenticare fisica e matematica e la lingua inglese, mio primo amore. All’uscita dal Liceo, con un diploma di maturità col massimo dei voti (finendo nuovamente sul giornale), ancora non sapevo in quale Facoltà universitaria iscrivermi e, in pratica, cosa fare da grande. I professori mi avevano chiaramente detto che, sia che avessi scelto la Facoltà di Ingegneria, sia che avessi scelto Lettere, avrei sicuramente raggiunto ottimi risultati. Insomma: in quell’occasione non mi furono granchè d’aiuto. Qui si colloca un episodio che amo raccontare perché fu quasi come una fulminazione sulla via di Damasco, e ancora ringrazio il mio compagno di banco. Egli mi prestò un libro relativo alle professioni e mestieri, di cui non ricordo assolutamente nulla fuorché una pagina: la descrizione del lavoro di archivista, gli studi da intraprendere e le attività tipiche di un mestiere che non avevo mai sentito neanche nominare. Fu così che scelsi la Facoltà di Lettere Moderne. Prima ancora di concludere gli esami e laurearmi mi iscrissi alla Scuola di Archivistica, Paleografia e Diplomatica dell’Archivio di Stato di Cagliari, biennale, con obbligo di frequenza. Dopo una prima selezione, che ridusse gli iscritti da 80 a 50 frequentanti, dopo due anni di lezioni e un esame di Stato (due scritti e un orale) uscimmo diplomati in 19. Ricordo ancora distintamente una delle prima lezioni in cui ci vennero presentate tutte le “patologie” degli archivi e dei documenti: topi, guano di uccelli, “pesciolini d’argento", danni da umidità e molto altro. Alla fine della lezione la docente ci invitò caldamente ad abbandonare le lezioni qualora avessimo storto il naso davanti ad alcune di quelle immagini. Io non avevo avuto alcun moto di ribrezzo a fastidio. E continuai.

Con il mio Diploma da Archivista Paleografa, preso a luglio del 1995, a settembre di quell’anno cominciai a lavorare a Carbonia, presso il Centro di Documentazione poi diventato Sezione di storia locale, per poi giungere, dopo 8 anni, all’Archivio Storico Comunale di Iglesias.

È stata proprio l’esperienza lavorativa sul campo (dove tra l’altro non sono mancati incontri del terzo tipo con scarafaggi e topi) a confermare ciò che aveva intuito da tempo: la professione di archivista era proprio la scelta giusta per me. I miei interessi scientifici e umanistici trovavano una conciliazione formidabile.

Infatti il lavoro comporta, da una parte, l’attività scientifica di schedatura dei documenti, di ricostruzione dell’ordine di questi secondo il principio di provenienza (che impone il rispetto dei fondi, cioè dell'organizzazione data all'archivio dal soggetto produttore, e che si raggiunge tramite il metodo storico che pone al centro dell'attenzione di chi riordina la storia del soggetto produttore, inquadrata nel contesto storico-istituzionale sia generale che locale. Il vero lavoro dell'archivista è così lo studio del soggetto produttore, della sua struttura e della sua storia, che dev'essere riportata in un'introduzione storico-istituzionale alle carte riordinate), di elaborazione degli strumenti scientifici cosiddetti “di corredo” cioè di ausilio per la consultazione da parte degli utenti.

Dall’altra parte la professione di archivista mi ha consentito di coltivare, approfondire, elaborare e poi, in un secondo momento condividere, cioè valorizzare e divulgare, la Storia, l’amata storia locale, la storia di uomini, donne, bambini, ciascuno con la sua esistenza, le sue esperienze, e la sua, seppur piccola, impronta nel mondo.

Quali sono le sue influenze culturali nella costruzione di una consapevolezza territoriale? Secondo lei, ha senso parlare di identità territoriale?

L’esperienza professionale mi ha permesso di giungere a una “consapevolezza territoriale”, come l’ha chiamata lei con una definizione che calza a pennello.

A Carbonia ci giunsi come tanti iglesienti, non proprio prevenuta ma conscia, e forse un po’ tronfia, del fatto che la storia di quella giovane città non fosse paragonabile alla storia quasi millenaria della città di Iglesias. Mi ricredetti nel giro di tre, due, uno…e nel corso del tempo, grazie alle conoscenze storiche, al riordino del fondo archivistico del Dopolavoro di quella città, giunsi a comprendere che tra le due città, le due realtà territoriali, vi erano più punti di contatto e somiglianze di quante mai avrei immaginato, a partire da quel denominatore comune storico dell’attività mineraria che, nella mia carriera, sarebbe ricorso più e più volte.

Inoltre, per la prima volta venivo a contatto con la realtà dei laboratori didattici nelle scuole e cioè con l’attività di divulgazione che, fin dal principio, mi entusiasmò come nient’altro mai. L’idea di condividere ciò che leggevo e imparavo dai documenti storici, adattando il linguaggio, di volta in volta, al pubblico che avevo davanti e intorno, era allettante e, messa in pratica, molto soddisfacente. Nel frattempo avevo anche imparato, con non poche difficoltà iniziali, a lavorare in squadra con colleghe e collaboratori vari: e non è poco!

Forte di questa base professionale all’inizio del 2003 (annus terribilis: nuovo lavoro, laurea e matrimonio! oltre che estate cocente!) approdai all’Archivio storico comunale di Iglesias: un Archivio storico e, per di più, dichiarato “di notevole importanza” dal Ministero dei Beni culturali nel 1978. La ricchezza di contenuti dell’Archivio e le numerose attività da svolgere e svolte mi coinvolse in pieno permettendomi un'ulteriore crescita professionale e personale. Il mal di pancia da agitazione nelle occasioni pubbliche diminuiva (non è mai cessato del tutto) e le tecniche di comunicazione si affinavano, grazie alla conoscenza dei contenuti, agli approfondimenti, agli incontri e alle diverse occasioni di scambio con colleghi, docenti anche universitari, studiosi, appassionati, bimbi curiosi, professionisti della Soprintendenza Archivistica per la Sardegna.

In tutto questo non so bene se si possa parlare di identità territoriale come “risultato della storia, della cultura, ecc. proprie di un luogo e della popolazione che lo anima che, con la sua presenza e interazione, mediante produzioni simboliche e di senso, attribuisce significato al luogo”. Dalla mia esperienza direi che una tale identità esiste nel nostro territorio (inteso come Iglesiente) con notevoli punti di contatto, e possibilità di paragoni in positivo e in negativo, con altri territori vicini (subregioni del sud ovest sardo, come il Guspinese e l'Arburese), ma non ne abbiamo piena conoscenza e coscienza.

Lei è riuscita a trasmettere e amplificare una passione già presente, in modo spesso disordinato, nei cittadini e nelle cittadine iglesienti, legata a una trasmissione orale dei saperi e non al rigore della ricerca documentale. Qual è stato il suo segreto per aumentare le competenze storiche della popolazione?

Non so se sono riuscita nell’intento di aumentare le competenze e conoscenze storiche della mia città. Credo di essere ancora nel mezzo del cammin. C’è molto lavoro ancora da fare, ho ancora molto da imparare e approfondire ed eventualmente, in seguito, divulgare partendo da un mio principio fondamentale: ciò che non è condiviso non serve. E a me piace molto provare a rendermi utile! Credo sia nota a tanti la mia disponibilità ogni qualvolta si tratti di divulgare la nostra storia, condita magari da piccole curiosità, sempre rilevate dai documenti. Il mio intento è spesso proprio quello di dimostrare che la conoscenza deve partire dalle fonti storiche ma con una premessa fondamentale: anche i documenti vanno interpretati ma non arbitrariamente, piegandoli magari alle proprie teorie e ipotesi. Occorre ogni volta “farsi contemporanei” al documento, senza revisionismi di sorta, e interpretarlo senza piegarlo alle categorie del presente, ma con una conoscenza approfondita del periodo in cui quel documento fu posto in essere. Occorre sempre tenere presente che i documenti d’archivio nascono per una esigenza pratica, quella di far funzionare in qualche modo l’ente produttore.

L'Archivio storico e il Breve di Villa di Chiesa sono sempre il punto focale dell'interesse turistico nell'Iglesiente, ma sta emergendo un nuovo tema legato agli archivi minerari. Sappiamo dell'introduzione di archivi digitali dovuti alla digitalizzazione, seppur parziale, degli archivi del personale della Società Monteponi. Cosa ci può dire in proposito? Quali sono le prospettive emergenti?

L’Archivio storico comunale di Iglesias deve certamente la sua importanza alla ricchezza e antichità della documentazione comunale in esso conservata: non sono molti gli archivi comunali del nostro territorio (e di tutta la Sardegna) che possono vantare l’esistenza, al proprio interno, di documentazione trecentesca e dei secoli successivi fino al XVIII. Ma la rilevanza del nostro Archivio è data anche dalla presenza di documentazione delle Società minerarie, in particolare della Società Monteponi/Montevecchio così denominata a seguito della fusione operata nel 1961 dalle due Società.

Grazie all’attività determinata, paziente, appassionata, dell’archivista storica di Iglesias, la dott.ssa Celestina Sanna (per la quale i ringraziamenti non sono mai troppi), il fondo archivistico di questa società da Milano, dove era conservato, è stato riportato in Sardegna, e in particolare, a Iglesias dove, dopo le attività di schedatura, riordino, inventariazione, è ormai da decenni a disposizione del pubblico.

Sempre molto consultato, dapprima per esigenze “amministrative” (richieste di pensione per silicosi per esempio), ora sempre più per ricerche storiche, tesi di laurea e altro, è composto da diverse “serie archivistiche”, tra le quali quelle del personale.

Di recente, alla fine dello scorso anno 2021, un bando regionale rivolto agli archivi storici, ha indotto me e la collega, la dott.ssa Giorgia Marcìa, a riflettere (piuttosto in fretta) sulla possibilità di presentare un progetto per un finanziamento. Consapevoli dell’importanza della “serie” del personale del fondo della Società Monteponi/Montevecchio, sull’elenco del quale da qualche mese si stava lavorando, in poco tempo abbiamo presentato all’Ufficio Cultura del Comune un progetto che, completato tutto l’iter burocratico, ha consentito l’aggiudicazione di un contributo per la digitalizzazione delle cosiddette “tessere del personale”: oltre 12 mila tesserini con dati anagrafici e lavorativi dei dipendenti della Società, operanti nei cantieri di Monteponi e collegati, in un arco cronologico compreso tra il 1871 e il 1977. Grazie a un software è ora possibile consultare in archivio queste tessere ricercando per nome, cognome o mansione o cantiere di primo impiego. Inoltre, come presentato al pubblico in occasione della manifestazione “Miners & Data mining: la digitalizzazione delle tessere del personale di Monteponi e lo «scavo» sui dati storici”, svoltasi in Archivio lo scorso 17 giugno, è stato possibile effettuare una serie di attività di Data mining che ne hanno evidenziato la valenza, la ricchezza, i possibili studi futuri. Questo lavoro è stato la dimostrazione plastica di come la scienza possa “andare a braccetto” con la storia, di come la tecnologia possa ampliare le conoscenze “umanistiche”, di quanto l’informatica possa entrare, a ben diritto, perfino in archivi storici che conservano documentazione anche assai antica, e non solo nei così detti archivi digitali moderni (ossia quelli che nascono su supporto informatico e su di esso vengono conservati con tutto ciò che questo comporta, compresa la “formazione” di archivisti digitali che si sta dibattendo molto negli ultimi tempi). E non penso alla sola digitalizzazione cioè in pratica dell’acquisizione digitale, tramite scanner o opportuni apparecchi fotografici, correttamente eseguita da ditte specializzate e munita di metadati.

La valorizzazione della storia mineraria passa dagli archivi storici e dalle storie personali, rilette sotto una nuova luce. Cosa ci insegnano le esperienze tratte dagli archivi delle scuole di miniera, in modo particolare della scuola di Monteponi, e degli archivi del personale della miniera?

Qui si fa riferimento a una delle molte attività di collaborazione che ho avuto la fortuna di effettuare negli anni: quella con l’Associazione Scu.di.mi. - Scuole di miniera e che ha portato a una mostra e una serie di relazioni al pubblico da me tenute presso la ex scuola elementare di Monteponi. Frutto di questa attività (anzitutto di ricerca archivistica) è stato un volume dal titolo “In questa scuola si lavora e si vive. Cronache di una scuola di miniera negli anni Trenta a Monteponi (Iglesias) con trascrizione dei registri scolastici”. In esso, dopo aver ricostruito le vicende storiche nazionali e locali, ho proposto la ricostruzione storica delle vicende del villaggio minerario di Monteponi con particolare riguardo all'istituzione e attività della scuola elementare. Ma soprattutto dalla trascrizione e analisi delle cosiddette cronache delle maestre, rilevate nei registri scolastici (custoditi presso l’Archivio scolastico dell’Istituto Comprensivo Pietro Allori di Iglesias) degli anni 1930-1935, ho potuto rilevare una serie di elementi pertinenti la storia, la storia locale, la vita scolastica, i bambini, le maestre.

Non mi stancherò mai di dire quanta ricchezza, umanità e storia si possano trovare in documenti del genere in cui anche la semplice nota “Altri bambini (due) furono rimpatriati per la disoccupazione dei genitori” rivela un mondo intero. Siamo nel 1931 e il riferimento è alla grave crisi del 1929, partita dall'America e giunta a travolgere anche il settore minerario iglesiente.

Credo fermamente che la conoscenza delle nostre realtà storiche e la comprensione delle vicende evidenziate nei documenti archivistici possa aiutare la crescita, la consapevolezza, e, spero, anche l’impegno per costruire il nostro presente e impostare (meglio) il futuro nostro e dei nostri figli.

In pratica, di cosa avrebbe bisogno l'attività archivistica della nostra città per potenziare le sue attività e con esse la crescita di consapevolezza storica e civile delle nostre comunità?

Per quanto riguarda l’Archivio storico comunale di Iglesias, le attività portate avanti sono numerose e, sebbene la situazione sia sicuramente migliore rispetto a moltissimi altri Archivi storici comunali, la si potrebbe sicuramente migliorare. Sarebbe per esempio auspicabile che all’Archivio storico venisse versata anche la documentazione, che è di sua competenza, del ventennio compreso fra 1960 e 1980 che ancora sta nell’archivio di deposito del Comune. Molto lavoro è ancora da fare e un potenziamento del personale (in termini di ore di lavoro e di unità lavorative) non sarebbe male. Per ora si tenta di fare il possibile con competenza ed entusiasmo, consapevoli che le attività da svolgere in archivio vanno da quelle di back-office (schedatura, riordinamento, inventariazione, sistemazione a scaffale, ottimizzazione di procedure) al front-office (sala studio, attività didattiche, promozione e valorizzazione in occasione di specifici eventi e con manifestazioni diverse). Certo che, tra pandemia e false occasioni di crescita culturale, fornite talvolta dai media, la lotta è spesso impari. Purtroppo gli Archivi (in generale e storici in particolare) restano ancora, nell’immaginario collettivo, luoghi polverosi e imperscrutabili, talvolta scarsamente valorizzati dagli stessi enti produttori. Ma ciò non ci impedisce di provare a proporre nuove occasioni di conoscenza e crescita.

Cosa dovrebbe sapere un utente medio che frequenta l'Archivio storico della nostra città? Come possono gli utenti aiutare il personale ad aiutarli?

Per un utente medio credo che sarebbe utile sempre tenere presente le fondamentali differenze tra archivio e biblioteca. In Archivio si entra con una domanda e, con l'intermediazione dell’archivista, la si deve trasformare in: “dove posso trovare qualcosa che risponda alla mia domanda?”. Sulla base della conoscenza delle competenze degli enti produttori degli archivi da consultare si può cominciare la ricerca. In Archivio non esistono elenchi di documenti (in realtà esistono anche questi ma solo per determinate serie: nel nostro archivio, ad esempio, esistono gli elenchi dei fogli di famiglia, dei censimenti, dei permessi di seppellimento e altri che, però, si configurano più che altro come basi di dati e non semplici elenchi): esistono gli inventari in cui occorre leggere innanzitutto le introduzioni storiche e archivistiche, elemento fondamentale e imprescindibile. In questo processo è fondamentale il supporto dell’archivista che deve poter contare sulla sincerità e chiarezza dell’utente.

Cosa vorrebbe che rimanesse di questa breve conversazione, quali semplici consigli darebbe ai giovani e alle giovani delle nostre comunità per spingere il cambiamento?

Solo una breve citazione: “Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza” (Antonio Gramsci).

2017. Serie di incontri a Gonnesa per parlare della storia del paese a partire dai documenti conservati presso l'Archivio storico comunale di Iglesias. 

 

Grazie e buon lavoro.

 

2011. Una manifestazione con i "Lavoratori delle fosse", parlando del Breve di Villa di Chiesa.

 

  Bibliografia dell'autrice (PDF)

 

Della stessa autrice

   Il bianco, il nero e il grigio a cura di Daniela Aretino Dessì

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Daniela Aretino

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Daniela Aretino Dessì

(Iglesias, classe 1971)

1989  Maturità scientifica presso il Liceo "G. Asproni" di Iglesias;  2003 Laurea in Lettere presso l'Università degli studi di Cagliari;  1993-1995 Diploma di Archivista Paleografa e Diplomatica presso l'Archivio di Stato a Cagliari; 2019 Inserimento negli elenchi nazionali in qualità di "Archivista" di prima fascia; dal 1995 Archivista Paleografa con oltre 25 anni di esperienza sul campo, principalmente  presso l'Archivio storico del comune di Iglesias; aggiornamento continuo anche tramite i corsi dell'Associazione Nazionale Archivistica Italiana; madre, moglie, appassionata  studiosa di Storia e di divulgazione culturale, partecipo a seminari e presentazioni come relatrice e volontaria culturale.

  Pubblicazioni (PDF)

 

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