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Il disarmo è un'opzione possibile?

Mauro Ennas intervista Cinzia Guaita per il Blog collettivo iglesiente.

Il grande impegno profuso per la Pace non l'ha mai fiaccata ma anzi rinvigorita e completata. Con costanza, determinazione e nonostante gli impegni, familiari e scolastici, è sempre riuscita a mantenere il timone fermo sulla sua convinzione che, con l'esempio, si può tracciare una strada che porta alla Pace attraverso il disarmo e la condivisione di una cultura di pace. Io so che questo è vero. Mi piacerebbe capire meglio come possa essere possibile “cambiare il mondo”, mettendo in discussione una mentalità aggressiva e violenta, a partire dalle nostre comunità.

La ringrazio, anche a nome del Blog collettivo iglesiente, per avere accettato di rispondere a questa intervista e per l'impegno costante del “Comitato per la riconversione dell'RWM”, che lei qui rappresenta, nella diffusione della partecipazione civile a favore della cultura della Pace, attraverso azioni concrete mirate alla crescita delle nostre comunità e del territorio del sud-ovest sardo. Grazie per essersi resa disponibile!

 

Innanzitutto potrebbe cercare di ricostruire com'è nata l'iniziativa civile nei confronti della fabbrica di bombe RWM di Domusnovas-Iglesias? Quando è nata e quali erano le informazioni iniziali che avevate a disposizione?

Quando nel 2001 c’è stata la riconversione della fabbrica situata in località “Matt’e Conti” a Domusnovas dal civile al militare, il territorio aveva espresso una linea condivisa: politica, sindacati, Chiesa locale, cittadini e artisti avevano detto un grande “No” al progetto di riconversione della SEI. Abbiamo gli articoli della stampa del tempo: accanto alla protesta, si configurava la stessa situazione di oggi, rispetto al ricatto occupazionale. Allora si diceva che si sarebbero persi 30 posti di lavoro. E’ vero che ciascun lavoratore ha una dignità e una famiglia, ma, c’è da chiedersi, valeva davvero la pena? Non si poteva trovare una soluzione diversa per 30 persone? Il ricatto occupazionale, secondo diversi studi, comporta la presenza di fabbriche scomode (pericolose, nocive per l’ambiente, lesive dei diritti umani e capaci di corrompere la cultura, la mentalità) in territori poco sviluppati, scelti perché disposti ad accettare tutto in cambio di pochi posti di lavoro. Ma la presenza di tali fabbriche, ormai è accertato, frena lo sviluppo in modo drammatico. Una spirale perversa, che si sa dove comincia e non si sa dove finisca. E quel “No” corale, di cui parlavo all’inizio, non si sa come, si è trasformato in un sì. Dietro a quel “non si sa come”, occorre pensare al fatto che grandissimi interessi economici di pochi, mettono a tacere le voci che si levano per la pace. Le persone impegnate allora, hanno visto una certezza dileguarsi, mai avrebbero immaginato che la riconversione al bellico sarebbe avvenuta sotto i loro occhi! E’ seguito un silenzio incredibile. La fabbrica, che ha cambiato poi gestione, passando alla RWM Italia, controllata al 100% dalla Rheinmetall tedesca, è cresciuta in silenzio. Sul territorio non si parlava di questa presenza, ancora veniva chiamata “la polveriera”, come ai tempi in cui era ben inserita nel circuito economico minerario. Quando, però, nel 2015 è iniziata la sanguinosa guerra in Yemen, di nuovo si è risvegliata la coscienza di chi aveva lavorato per evitare la riconversione. Nel 2017 è nato il Comitato. Non siamo stati noi ad avviare le proteste: le abbiamo collegate, mettendo insieme esperienze di associazioni molto diverse tra loro (una ventina) con un preciso obiettivo: riconversione, sia della fabbrica che dell’economia del territorio, opponendoci all’economia che uccide. Tutto è cominciato con una partecipatissima marcia della Pace che si è tenuta ad Iglesias ed è confluita in Piazza Sella. Erano presenti tutte le generazioni, dai bimbi delle scuole, agli anziani che avevano dedicato tutta la vita alle lotte pacifiste, dalle associazioni cattoliche, alla chiesa Protestante, ai gruppi laici di varia provenienza, alle compagini ambientaliste. La pace è di tutti: non di un solo gruppo politico, non di una generazione, non di un territorio. Ma ogni cittadino, se vuole agire per la pace, deve “disarmare” il proprio territorio, in una prospettiva globale

Questa battaglia, per certi versi estenuante, si è rivelata importantissima per stabilire la reale forza del nostro sistema legislativo costituzionale, l'affidabilità verrà decretata dal risultato delle azioni penali in corso. Come giudica la formazione dei politici locali? Quali strumenti mancano a questa classe dirigente locale per riuscire a valutare scenari di alta complessità come quelli legati alle scelte industriali territoriali? C'è una sensazione diffusa che comincia a sospettare dell'indipendenza e autonomia di pensiero e di azione della classe politica emergente. Cosa ne pensa? È sempre stato così? Di chi hanno paura?

Da subito noi siamo stati in rete con le principali organizzazione per la pace a livello europeo e i loro esperti. Molti tra di noi hanno competenze specifiche in campo giuridico, economico, ambientale, tecnico. Ci siamo messi a lavorare per capire. È apparso evidente che, oltre allo stravolgimento della nostra Costituzione che ripudia la guerra, l’esportazione delle armi all’Arabia Saudita si configurava come la violazione della legge 185/90. Ciò rendeva vulnerabili prima di tutto i lavoratori. La violazione era evidente perché la L185/90, pur costantemente indebolita, parla chiaro: non si possono inviare armi a Paesi in guerra o che violino palesemente i diritti umani. Come vivano le donne in Arabia Saudita, come sia finito il giornalista Kashoggi, quali devastazioni abbia subito lo Yemen, erano aspetti già sotto gli occhi di tutti. Abbiamo fatto presente ai politici locali, ai lavoratori, ai sindacati, alla popolazione con convegni, comunicati-stampa, con un intervento in consiglio comunale questo aspetto e, dopo un episodio di altissimo valore politico, in cui il consiglio comunale all’unanimità ha votato una mozione che impegnava Iglesias come città della pace a mettere in atto una serie di azioni in una direzione coerente, abbiamo trovato un muro. Talvolta il muro è stato esplicito: vari politici e sindacalisti si esprimevano chiaramente in difesa della RWM. Una difesa ostinata e politicamente miope: su 25.000 disoccupati nel Sulcis Iglesiente quei 100 lavoratori stabili e i tanti interinali che lavoravano solo in caso di guerra, potevano trovare altra destinazione, se la politica fosse stata coraggiosa e davvero per la pace! Ma peggiori forse sono i tantissimi consiglieri comunali, assessori, sindaci che dicono di essere per la pace, fanno anche iniziative per la pace e poi non muovono un dito per dire con le scelte il loro essere per la pace! Impreparati? Paurosi? Minacciati? Indifferenti? Incapaci di cogliere il nesso tra le proprie scelte e quanto accade nel mondo? Semplicistici? Bloccati da qualcuno nella loro possibilità di esprimersi? È difficile dirlo. Senz'altro occorre per agire controcorrente una grande competenza e molti amministratori non vogliono dedicare il tempo necessario a capire le dinamiche. Altri, in buona fede, si fanno portare dagli eventi. Occorrerebbe coraggio, molto coraggio, per cambiare le cose.

Avete portato il caso della fabbrica di bombe ad avere risonanza nazionale (con interrogazioni e altre azioni parlamentari) e internazionale (attraverso Al Jazeera l'emittente globale con sede in Qatar), quali ostacoli avete incontrato?

Abbiamo agito sempre in rete e collegati ad associazioni competenti, incontrando deputati e senatori che si sono rivelati sensibili al problema, al punto da presentare interrogazioni e mozioni. Il secondo governo Conte ha in tal modo riconosciuto che le autorizzazioni precedentemente date all'esportazione di bombe verso l'Arabia Saudita e gli Emirati arabi uniti violavano la L185/90 e le ha revocate. Un fatto senza precedenti. Qui sul territorio è accaduto quanto avevamo più volte detto e scritto: il lavoro alla RWM non era sicuro come poteva sembrare, dato che quelle licenze erano state concesse in modo non corretto. Naturalmente è difficile comunicare questi concetti, che sono stati abbondantemente strumentalizzati. Noi abbiamo detto che rileviamo una sorta di sindrome di Stoccolma verso una fabbrica che, a fronte di guadagni enormi, lascia le briciole ed è osannata come benefattrice. E' il solito modo sardo di aspettare che siano gli altri a risolvere i nostri problemi? Forse sì, ma i sardi hanno una capacità di ideazione e azione straordinaria, che potrebbe capovolgere l'economia bellica in economia di pace e fare del Sulcis Iglesiente un faro per il mondo.

Per quanto riguarda il documentario su Al Jazeera, occorre ribadire che si tratta di un'emittente indipendente, che non ha minimamente condizionato la nostra comunicazione. Per girare il documentario la regista, sarda, intelligente e indipendente Lisa Camillo, ha ascoltato profondamente la nostra storia, i nostri percorsi, le nostre vicende e le ha sapute riportare fedelmente e con grande professionalità.

C'è chi pensa che sia possibile riconvertire la fabbrica di bombe sfruttando la notorietà del caso a livello globale e tramite una raccolta di fondi internazionale. Ma manca ancora un progetto esecutivo, da presentare al mondo, come una possibile soluzione del caso. Pensate che sia una via praticabile? Confidate, in tempi come questi, in una soluzione politica?

La fabbrica guadagna tantissimo e con la guerra in corso, gli accordi firmati, i nuovi mercati che si aprono non ha motivo per cercare una produzione civile che sarà sempre meno remunerativa di quella bellica. Occorrono precise scelte politiche a riguardo. Se chi governa il territorio non si ribella a questa presenza ingombrante che lascia le briciole, come ho detto, ma ha tanti sostenitori, nessun progetto potrà essere attuato. La riconversione è una scelta dei privati che gestiscono la fabbrica, ma la politica può favorirla o, come ha fatto finora, escluderla totalmente. È impressionante come la scelta sia sempre stata la difesa della fabbrica e non del lavoro. Quando, in seguito al decreto Salvini nel territorio del Sud Sardegna sono stati chiusi o ridimensionati i centri di prima accoglienza, si sono persi tantissimi posti di lavoro di cuochi, mediatori culturali, insegnanti, educatori e tutto l'indotto. Si parla di 500 posti di lavoro che la politica non è intervenuta a difendere. Non ho sentito nessuno dire che bisognava accogliere i migranti perché ci danno lavoro. Sono situazioni che fanno riflettere.

La raccolta di fondi internazionali e un progetto esecutivo, ben vengano. Non escludiamo niente, ne abbiamo ideato tanti. Noi, nel nostro piccolo, con fatica e umiltà, ma anche con molti risultati incoraggianti e una rete che si allarga ogni giorno, abbiamo promosso il marchio Warfree, liberu de sa gherra, che associa imprese e professionisti che vogliono praticare un'economia di pace e di cui in questo blog si è già parlato.

Cosa vorrebbe che rimanesse di questa breve conversazione, quali semplici consigli darebbe ai giovani e alle giovani delle nostre comunità per spingere il cambiamento?

Il cambiamento nasce dalle azioni quotidiane. Nello studio, nel lavoro, nelle proposte varie, occorre avere valori forti come guida per il cammino e non cedere all'idea che tutto va male e quindi aggiungere banalmente il nostro più o meno consapevole contributo negativo. Ogni azione per la pace, anche piccolissima, ha in sé delle potenzialità immense. Occorre però che sia qualcosa di concreto, qualcosa che realizzi grandi ideali in azioni. Dire di volere la pace e non fare azioni di pace non ha molto senso. Mentre gesti e percorsi che si praticano, poiché esistono, sono già il cambiamento. E direi a giovani e non di non fare da soli. Mettersi in rete, collegarsi, imparare gli uni dagli altri. Così cresce il popolo della pace e del cambiamento.

 

 
 Marcia della pace a Cagliari nel 2019 con Teresa Piras, don Ciotti, don Renato Sacco e Nello Scavo.

 

Grazie e buon lavoro.

 

Marcia per la Pace, Gesturi Laconi.

 

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Cinzia Guaita

Cinzia Guaita 

(Iglesias, classe 1965)

1983  Maturità scientifica presso il Liceo "G. Asproni" di Iglesias;  1988 Laurea in Pedagogia Università degli studi di Cagliari. Moglie, madre, insegnante, cittadina attiva da sempre sulle tematiche ambientali, della pace e dei diritti umani. Co-fondatrice della "Scuola civica di politica - La città in comune", co-portavoce del Comitato per la Riconversione RWM. Membro della Tavola sarda per la pace, del gruppo di progetto "Protezione a chilometro zero", di "Economia Disarmata", gruppo di lavoro del Movimento dei Focolari e della rete "Coordinamento Yemen". Inoltre faccio parte della associazione "Mamme da Nord a Sud" che raggruppa decine di associazioni femminili principalmente ambientaliste.  

 

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