Click to listen highlighted text! Powered By GSpeech

Home

Scuola e Libertà

Arianna Manca intervista Enrica Ena per il Blog collettivo iglesiente.

Sappiamo quanto la cultura e la conoscenza siano importanti, ma altrettanto importante è maturare una certa indipendenza nella lettura dei fatti e nelle proprie azioni. Enrica Ena, maestra presso l’Istituto Comprensivo “Pietro Allori” di Iglesias, ha fatto di questo concetto il succo del suo metodo educativo per la formazione degli adulti di domani. Il suo impegno costante si muove sempre, con competenza e sensibilità, oltre i metodi di formazione tradizionali e con un atteggiamento fortemente innovativo, che le è valso diversi riconoscimenti, anche a livello istituzionale. Ci piacerebbe discutere con lei la sua esperienza e la visione del suo lavoro, in modo da permetterci di comprendere l'impatto che può avere il suo metodo educativo sulla formazione civile delle nostre comunità future.

La ringrazio, anche a nome del Blog collettivo iglesiente, per avere accettato di rispondere a questa intervista asincrona e per il suo impegno costante nella diffusione dell'educazione, a favore del territorio del Sulcis-Iglesiente e non solo. Grazie per essersi resa disponibile!

Sono io a ringraziare lei, e voi tutti del Blog collettivo iglesiente, per la pazienza che avete avuto davanti alle mie resistenze a parlare di me e, quindi, per avermi sollecitato a stanarmi. Non sono una facile alle interviste. Preferisco sempre che a parlare sia il mio impegno quotidiano. E forse, in questo, esagero un po’.

Sono una spostata sulle pratiche. Questo, chiaramente, non significa assenza di pensiero. C’è una forte intenzionalità dietro ogni mia azione, convinzioni forti che guidano ogni scelta. Ma è nel fare, nel tradurre il pensiero in pratiche che funziono di più. E l’età me ne ha reso consapevole.

Per me è stato così sin dal principio. Da quando, insegnante giovanissima, lavoratrice e di nuovo studentessa, mi impegnavo a tradurre le teorie in pratiche.

E forse è davvero questo che mi ha convinto che certi cambiamenti sono possibili se si è disposti a un impegno costante e profondo. E a riflettere di continuo per regolare.

Progetto, agisco, rifletto, regolo. Il mio lavoro funziona così.

È così che sono diventata maestra.

 

Il suo modo di fare scuola si basa sul dare più libertà ed indipendenza agli studenti, secondo un metodo da lei stessa definito “a bassa direttività”. Ci può spiegare che cosa si intende con questa definizione e con quali modalità viene portato avanti questo metodo?

Chiamarlo metodo è pretenzioso, e lo è sempre per chi studia molto e sa che cosa questo significhi. In ogni caso, sì. Dice bene. Questo è un aspetto centrale del mio fare scuola. Faccio didattica a bassa direttività, che poi occorre bene intendersi su ciò che significa bassa direttività.

Per dirlo in breve: si tratta di una didattica centrata sull’apprendimento, in cui le lezioni frontali, che pure non smettono di essere presenti, sono ridotte al minimo. L’azione didattica prevede, dopo la presentazione di una proposta, ampio spazio per una fase centrale, interamente dedicata al lavoro autogestito dagli studenti in forma collaborativa. È la presenza di questo tempo che mi fa parlare di bassa direttività.

In questa fase, infatti, il docente, una volta passata la palla, lascia che gli studenti, nel mio caso i bambini, giochino la loro partita fino alla fine, per poi tornare, a lavori conclusi, ad accogliere le restituzioni, riferite a processi e prodotti, per mettere a fuoco, correggere, arricchire.

La lezione vera e propria, di fatto, arriva alla fine.

I vantaggi sono la crescita di autonomia e responsabilità, che consentono di spostarsi su consegne sempre più alte e sempre più aperte, e apprendimenti solidi.

Questa forma didattica, però, e ci tengo molto a chiarire questo, non è un lasciar fare. Sarebbe impossibile per me che credo nel dovere della scuola di migliorare la situazione di partenza di ogni bambino. Se così non fosse, non si attuerebbe nessuna forma di liberazione, ma una vera e propria condanna.

Nella mia didattica, c’è una forte intenzionalità che guida ogni proposta, ed è espressa con un’organizzazione forte e con i materiali messi a disposizione, nel mio caso sempre autoprodotti.

Un ruolo importante riveste la scelta di tenere alta la motivazione, impossibile farlo se insegniamo anticipando tutto ancora prima che ci si sia fatti le domande (si può dare da bere a un cavallo che non ha sete? per dirla con Freinet) e la volontà di costruire cittadinanza. Questa è una didattica che, nell’aprire al fare insieme, consente ampi spazi di confronto, che rendono necessari l’ascolto, l’espressione del proprio pensiero e l’accoglimento di quello altrui, l’argomentazione delle proprie convinzioni e, una cosa fondamentale, comprende ampi spazi di scelta. E non butta fuori nessuno.

Siamo in una società in cui ci si sorprende di continuo davanti a ragazzi in cui sono evidenti l’assenza di autonomia, di responsabilità e l’incapacità di fare scelte. Ma chi le educa? Chi le costruisce?

Costruire comporta un’intenzionalità chiara, un’azione pedagogica che lavori in una certa direzione in modo sistematico e profondo.

Dire profondo per me è importante, soprattutto oggi, in cui assistiamo a troppi interventi spot, anche in educazione.

Non è quello che ci serve.

Ma qui il discorso si farebbe davvero molto lungo e meriterebbe una riflessione anche sull’attuale normativa sull’educazione civica. Ma, ripeto, il discorso si farebbe troppo lungo.

Chiudo sulla didattica con una precisazione importante: la didattica è strettamente legata allo scenario, al tipo di scuola che scegliamo di fare.

La mia è pensata per la classe intesa come comunità, in cui è centrale la costruzione della cura e dell’aiuto dell’altro, con regole co-costruite e assunzione di incarichi, in cui è importante anche il prendersi cura degli spazi.

Comunità in cui non c’è spazio per la competizione; tant’è che da tanto tempo ho fatto la scelta – necessaria – di trasformare il rapporto con la valutazione. Già prima dell’attuale normativa, non esistevano voti né giudizi di nessun tipo.

La valutazione a cui faccio riferimento, e a cui negli ultimi anni ho potuto dare un nome, è la valutazione formatrice. Una valutazione diffusa in cui si valuta sempre e non si valuta mai, che non ha lo scopo di classificare, ma di sostenere la crescita di tutti.

Per questo, ampio spazio ha la valorizzazione di pratiche come l'autovalutazione e la valutazione tra pari e sono presenti i colloqui periodici con i bambini.

Al centro di tutto c’è l’autoregolazione.


Può riassumerci brevemente com'è nata l'idea di sperimentare e consolidare metodi innovativi di educazione scolastica? Cosa spera che rimanga impresso nelle menti dei ragazzi che non può essere fornito dai metodi tradizionali?

Se prima sono stata lunga, qui sarò brevissima.

Io non ho scelto di essere innovativa. Sono effetto delle mie esperienze professionali e di attenzione al mondo e ai bambini. Credo che sia davvero tutto qui. Che poi è ciò che accomuna tutti i maestri che hanno guardato ai bisogni veri dei propri studenti e hanno aperto la scuola al mondo.

Non mi ha mai convinto la scuola dalle lunghe lezioni frontali, che mortifica la motivazione, che - l’ho già detto, ma ribadirlo non guasta - offre tutte le risposte prima ancora che ci si faccia le domande. Mi piace che la scuola sia spazio di ricerca, spazio in cui smontare e rimontare i saperi per appropriarsi dei significati profondi. E mi piace che lo si faccia dentro contesti di senso.

Poi, certamente, ha giocato e gioca un ruolo molto importante la formazione continua. Mi lascio sollecitare molto. Nulla mi passa accanto senza stimolare nuove riflessioni e mi piace sperimentare nuove strade.

Sono una persona curiosa e una che non ha paura di sbagliare. Che poi è quello che insegno anche ai miei bambini.

Un giorno uno studioso, un amico, nell’interrogarsi su ciò che rendesse alcuni insegnanti “in movimento”, mi ha consegnato questa bellissima frase del pedagogista brasiliano Paulo Freire:

Sem a curiosidade que me move, que me inquieta, que me insere na busca, não aprendo nem ensino”. Senza la curiosità che mi muove, mi rende inquieto, mi spinge alla ricerca, né imparo né insegno.

Fu un bel dono.

Tutto questo per dire che non sarei onesta se dicessi che il mio lavoro è effetto di un progetto. No, è effetto di un processo. Anche se non sono mancati i momenti di rivoluzione intenzionale.

Ma, più di tutto, il mio lavoro è effetto di studi, di sperimentazione continua e di tanta, tantissima, riflessione sulle pratiche e sulle mie continue regolazioni.

In questo, mi sono stati molto utili i miei diari. Il tornare sulle esperienze in modo riflessivo. Sì, credo che questi mi abbiano aiutato molto. Motivo per cui sono piuttosto adirata con me stessa per essere entrata in una fase in cui questo mi affatica troppo e non trova la stessa urgenza di prima. So che è un errore, ma questo è un tempo difficile…

Non ho risposto alla parte finale della domanda: cosa spero che rimanga impresso nelle menti dei ragazzi che non può essere fornito dai metodi tradizionali?

Non credo di offrire di più, in termini di conoscenze. La scuola tradizionale è stata molto brava nello svolgere il suo ruolo nella trasmissione dell’eredità culturale.

Il punto è che quello non è l’unico compito. I saperi, oggi, sono facilmente raggiungibili – anche se questo non significa che non resti necessaria un’appropriazione profonda: senza strumenti culturali non si costruisce cittadinanza – ma abbiamo bisogno che la scuola sia anche altro.

Abbiamo bisogno che sappia accompagnare gli studenti a conoscersi e a scegliere chi essere e a comprendere qual è il contributo che ognuno di loro può e vuole dare alla società in cui vive e al futuro che vuole costruire.

Io penso alla scuola come un luogo aperto, che sappia accogliere le potenzialità di tutti, che le metta in dialogo, che consenta le buone contaminazioni e che si faccia supporto e guida perché ognuno possa esprimere il meglio di quello che ancora non sa di essere.

Quindi voglio lasciare: la capacità di lavorare insieme, che è quella che consente di mettersi attorno a obiettivi comuni; di confrontarsi in modo costruttivo, di fare scelte, di assumere impegni e portarli avanti con determinazione e cura. E l’amore per il sapere, motore di ricerca continua, e per la bellezza. Tutti ingredienti che consentano loro di vivere la vita con passione e impegno.

Tanto, eh? Lo so. Occorre essere esigenti. Molto esigenti.

Perché è la prima cosa che dobbiamo insegnare, facendolo con noi stessi.

Dalla superficialità non nasce niente.

Questo è il motivo per cui la scuola non può fare tutto e non può essere dappertutto (qui il riferimento è alle troppe richieste che le si riversano addosso).

Dobbiamo insegnare a scegliere, scegliendo, e a essere esigenti, essendo esigenti.

 

L'importanza e la rilevanza che assume la sua azione, l'energia e la costanza che la caratterizzano ci fa comprendere il vero significato di un impegno. Cosa ci può dire dei suoi giovani allievi? Come rispondono al suo metodo?

I miei studenti rispondono al tipo di scuola che propongo – che non posso ridurre al metodo - con motivazione e passione. Arrivano a scuola di corsa ed esprimono appartenenza, ciò che ho sempre ritenuto essere molto importante.

Ne è testimonianza che, proprio ieri, i miei alunni mi dicevano che il nostro orologio, appeso in aula, deve avere qualcosa che non va. - Sembra di avere tanto tempo a disposizione, maestra. Sollevi lo sguardo e la mattina è già finita!

Loro apprezzano di sentire di avere vicino adulti che tengono sinceramente a loro e che si propongono interi, mettendosi accanto. E, quando necessario, ne accolgono la severità.

Apprezzano gli spazi di libertà, sia nell’organizzazione della vita della classe-comunità, sia nella didattica.

Amano lavorare insieme e poter esprimere le proprie curiosità e le proprie inclinazioni in quello che fanno.

Ormai la scuola è uno dei pochi spazi in cui questo è possibile; ed è il motivo per cui faccio fatica a capire perché si tengano ancora gli studenti ben separati e si fatichi a fare entrare ciò che ognuno di loro è in grado di offrire.

Questo non significa che non ci siano difficoltà. Quello dell’insegnante è un compito sempre più difficile, anche perché rende necessarie sinergie sempre più deboli.

Siamo in una società pulsionale, in cui tutti cercando soddisfazione immediata. In cui condividere una foto o un video è più importante dell’esperienza che racconta.

Il tipo di scuola che faccio io non va in questa direzione. E, oggi sempre di più, sento la difficoltà di far sostare sulle cose, di abituare all’attesa, all’impegno, alla cura.


Quali sono i valori e gli obiettivi che vorreste fossero trasmessi interamente ai cittadini di questa comunità e, in senso figurato, al territorio?

I valori che mi piacerebbe che fossero trasmessi non possono prescindere dallo scenario nel quale viviamo.

Mi piacerebbe, dunque, che si trasmettesse passione per la vita, unita a grande serietà e impegno vero per il bene comune.

La capacità di scegliere e di essere coerenti anche in solitudine.

L’amore e il rispetto profondo per gli altri - tutti gli altri - e per le loro scelte.

L’amore e la cura per la nostra Terra.

La capacità di riconoscere ciò che è giusto da ciò che non lo è e di avere sempre il coraggio e la forza di prendere una posizione.

Quindi, la capacità di non smettere mai di provare la rabbia giusta, come la chiama in una sua bellissima filastrocca Bruno Tognolini. Quella rabbia che diventa indignazione e che non cambia canale, cambia il mondo.

Per quanto mi riguarda, insieme ai valori, mi impegno a lasciare la capacità di essere cittadini attivi, e lo faccio costruendo, proprio grazie a una didattica a bassa direttività, l’abitudine a consegne aperte, la cui espressione più alta è rappresentata dalle iniziative autogestite sul territorio.

Negli anni, le proposte sviluppate dai miei alunni sono state tante; molte sono state legate ai libri, un amore che mi piace costruire con cura; l’ultima è stata il primo ottobre del 2021, all’interno della Fiera del libro: “Raccoglitori di felicità”.

Ma le iniziative e i temi affrontati dalle mie classi negli anni sono stati tantissimi. Sono cambiati gli alunni, ma sono rimasti gli aspetti caratterizzanti: decidere il che cosa, ma lasciare loro lo spazio sul come, dopo aver definito con chiarezza le varie fasi e aver valutato insieme ogni singolo passaggio.

Ancora ricordo il progetto “Vorrei una legge che…”. Partendo da un bellissimo lavoro sul Breve di Villa di Chiesa, svolto presso l’Archivio storico, accompagnati dalla Dott.ssa Daniela Aretino, accogliemmo la proposta progettuale del Senato e ci occupammo di pensare una legge per la scuola: “Vorrei una legge che… pensi una scuola come serve a me!

Fu una grande emozione, per me e per la classe, abituati a lavorare senza mai pensare a riconoscimenti, ritrovarci ad accogliere il primo premio in Senato, consegnato ai bambini da Pietro Grasso dopo aver ascoltato la narrazione del progetto direttamente da loro.

I temi della cittadinanza sono stati sempre con me e occupano uno spazio importante, che va oltre l’ora settimanale di insegnamento dell’educazione civica.

La cittadinanza non si insegna. Si costruisce, giorno dopo giorno. Non la si può racchiudere in un’ora settimanale dedicata all’educazione civica.

Considero la Cittadinanza la competenza delle competenze, ed è sempre con noi interrogando, prima di tutto noi adulti, ad essere testimonianza.

 

Fate parte di una rete nazionale che opera con iniziative diffuse e l'uso della tecnologia. In un periodo difficile come quello che stiamo vivendo siete riusciti a creare delle opportunità strutturate per migliorare la qualità dell'insegnamento a distanza?

Questi ultimi anni sono stati difficilissimi e lo sono tuttora perché gli effetti veri della pandemia li stiamo vedendo adesso.

Tuttavia, per la scuola sono stati anche lo scenario per la più grande sperimentazione diffusa che si sia mai vista.

Nel mio caso, l’esperienza maturata con la tecnologia a vantaggio della didattica, da oltre trent’anni, insieme alla curiosità che ancora mi muove, si è rivelata un bagaglio veramente importante. Nel quinquennio precedente, poi, sin dal secondo quadrimestre della classe prima, avevamo aperto un nostro ambiente virtuale – su Edmodo - che estendeva i nostri spazi e nostri i tempi di apprendimento.

Ma per venire alla domanda, l’aspetto che oggi ritengo essere stato più importante è quello di non essersi arresi a che questo tempo trasformasse la nostra idea di scuola e di didattica.

Perciò, sin dal primo lockdown, le scelte non sono mai state centrate sulle consegne, ma sono andate nella direzione di dare priorità assoluta a mantenere insieme la comunità e a trovare la forma per salvaguardare la logica del nostro agire didattico.

Ci siamo riusciti. Non c’è stata una fase di questa pandemia che ci abbia trovato con la stessa organizzazione. È stato un continuo sperimentare soluzioni nuove.

Perciò, dagli spazi collaborativi, inizialmente in prevalenza asincroni, garantiti dalla classe virtuale e dalle diverse applicazioni che ci hanno consentito di continuare a costruire insieme, abbiamo affinato la nostra competenza, fino a ricostruire un’organizzazione capace di accogliere la nostra didattica attiva e collaborativa anche su ambiente digitale.

Gli alunni, dopo l’apertura delle attività in plenaria, organizzati in piccoli gruppi, hanno gestito le varie proposte di lavoro, per poi tornare in plenaria per la restituzione e la fase metacognitiva.

Questa organizzazione è stata fondamentale anche quest’anno, quando, per oltre due mesi, ci siamo trovati con parte dei bambini in classe e parte a casa e abbiamo dovuto lavorare in “dual mode”. Anche in questo caso, infatti, siamo riusciti a garantire il lavoro collaborativo, fino a prevedere gruppi misti di alunni in presenza e a casa che lavoravano insieme su digitale.

L’esperienza è stata talmente importante che abbiamo deciso di custodirla per sviluppare un progetto di apprendimento tra pari nel pomeriggio.

Con l’attuale organizzazione, poter contare sulla disponibilità dei locali scolastici e del personale in orario extrascolastico è praticamente impossibile, così, oggi, ci incontriamo regolarmente il giovedì pomeriggio nel nostro ambiente digitale. Qui, una volta condivisa proposta, organizzazione, tempi e materiali, i bambini svolgono i loro lavori organizzati in piccoli gruppi nelle diverse stanze.

Con questo setting, di recente, abbiamo sviluppato il nostro Progetto sull’Agenda 2030, documentato, fase per fase, con una video-narrazione.

Credo, dunque, di poter affermare che la pandemia è stata per noi occasione per imparare che la crisi nasconde sempre delle opportunità.

Le competenze maturate dai bambini vanno oltre ogni possibile previsione e, per chi come me crede molto nella capacità di liberare, direi che abbiamo fatto passi da gigante.

Oggi siamo in grado di poter contare su altri spazi e altri tempi e su tanti strumenti che moltiplicano le nostre opportunità.


Quali sono state le principali difficoltà affrontate finora e cosa prevede di fare nell’immediato futuro?

Le difficoltà sono tantissime perché tante sono le resistenze al cambiamento e le prove a cui viene sottoposto di continuo chi sceglie altre strade.

Ma non mi scoraggio. Cerco di restare concentrata sul mio compito.

Certamente, ho imparato – anche se non sono ancora abbastanza brava – a razionalizzare le energie e a investirle in ciò che credo possa andare nella direzione del costruire.

Solo con i bambini il discorso cambia.

Al di là dei risultati, resto convinta che il tempo, per loro e con loro, sia sempre speso bene. La serenità di oggi sarà un bagaglio fondamentale per le donne e gli uomini che saranno.

E a me basta anche questo. Perché la vita può essere molto difficile. E io non lo dimentico mai.

Cosa prevedo di fare nell’immediato futuro? Come insegnante impegnata con gli alunni, conto di proseguire con il mio impegno, continuando ad essere attenta ai loro bisogni e al mondo, ma, contemporaneamente, voglio essere attenta a fermarmi al momento giusto. Mi piace l’idea di fermarmi non appena mi accorgerò di non avere più adeguata motivazione o di non essere all’altezza delle richieste.

Per il resto, sin dal lontano 1997, sono impegnata con la formazione, tra colleghi, futuri insegnanti, studenti. Nel 2018 ho dato vita a un gruppo di lavoro “Il cambiamento nasce da dentro”, che coinvolge insegnanti, genitori, dirigenti scolastici, studenti universitari e altre figure educative. Oggi le mie energie, oltre la classe, sono tutte concentrate in questo progetto. Quello che desidero è creare occasioni di riflessione sull’educazione e mettere in circolo le buone esperienze che nascono dentro la scuola (non amo dire dal basso perché, nonostante tutto, ritengo che la scuola sia ancora uno dei luoghi più alti della nostra società e mio onoro di farne parte).

Credo davvero molto nel dare voce alle pratiche; per otto anni l’ho fatto anche attraverso un blog: “Cosa c’è di nuovo in classe, che è diventato riferimento per tanti insegnanti e studenti. È ancora consultabile, ma è chiuso da settembre 2021.

Il blog ha assorbito tante delle mie energie, ma è stato anche un amico fidato che ha saputo accogliere le mie riflessioni e che ha guidato il mio sguardo a diventare sempre più attento.

Tuttavia, le cose cambiano e bisogna riconoscere quando una fase si è conclusa e fare spazio ad altre.

Io, oggi più di tutto, desidero tempo, tempo per vivere ancora in modo completo la scuola, tempo per vivere in modo completo il progetto de “Il cambiamento nasce da dentro”. E un tempo più disteso per me.

Non è facile da far capire alle tante persone che si avvicinano con inviti a spostarsi da questo impegno, per incontri, contributi ad articoli, pubblicazioni; per partecipare a nuovi progetti.

Ma io, con gli anni, ho capito che il segreto per dare il nostro piccolo contributo, sta proprio nel riconoscere in che cosa possiamo dare il meglio di noi e scegliere.

Io ho scelto. Sono una maestra. Oggi con nuova consapevolezza.


Grazie e buon lavoro.

 



 

Leggi anche

   Associazione Argonautilus a cura di Eleonora Carta, Erika Carta...

   Argo Circolo Letterario a cura di Erika Carta

   La biblioteca come necessità a cura di Mauro Ennas 

 

Potrebbe interessarti anche

    Letteratura e impegno Mauro Ennas intervista Riccardo Massole 

    Il progetto WarFree Mauro Ennas intervista Arnaldo e Stefano Scarpa 

    Educare alla creatività Mauro Ennas intervista Christian Castangia 

    Invito alla lettura Arianna Manca intervista Federica Musu 

    Innovazione tecnologica territoriale Mauro Ennas intervista Giampaolo Era

    Argonautilus e il suo impegno per il territorio Mauro Ennas intervista Eleonora Carta 

    La riqualificazione del Villaggio Minerario Asproni Arianna Manca intervista Annalisa Uccella

 

  

 

Enrica Ena

(Iglesias, classe 1968) 

Enrica Ena attualmente insegna nell’Istituto Comprensivo “Pietro Allori” di Iglesias. Da quando è diventata insegnante, nel 1991, è sempre stata impegnata a sperimentare sul campo un fare scuola che rendesse protagonista l’alunno. Questa sua caratteristica professionale ha fatto sì che venisse coinvolta in numerose iniziative innovative, tra cui una sperimentazione Ministeriale sull’utilizzo delle tecnologie nella didattica che ha coordinato dal 1995 sino al 2000, esperienza che ha aperto ad un suo ruolo attivo in tanti nuovi progetti a livello provinciale, regionale e nazionale.

Dal 1997 ha iniziato la sua attività di formatrice per docenti delle scuole di ogni ordine e grado che prosegue ancora oggi.

Dopo una parentesi all’Università di Cagliari – dal 2004 al 2008 – nel ruolo di Supervisore nel Corso di Laurea in Scienze della Formazione di Cagliari, nel settembre del 2009 ha deciso di riprendere l’attività di insegnamento a tempo pieno e di mettere a completa disposizione della didattica e dell’idea di scuola maturata tutte le esperienze e le riflessioni scaturite dal proprio percorso professionale.

Dal 2013 al 2021 ha curato un blog personale, nato per documentare l’esperienza di classe, diventato, nel tempo, uno spazio di riflessione sulla scuola viva, aperto al dialogo con le famiglie, e riferimento per tanti insegnanti e studenti.

Per due anni ha coordinato una rubrica di dialogo con la scuola: nel 2016/17 su Scuola Italiana Moderna, Editrice La Scuola (SIM-a/r); nel 2017/18 su EAS Essere a Scuola, Editrice Morcelliana (Aula Aperta).

Da giugno 2018 ha dato vita al gruppo di lavoro “Il cambiamento nasce da dentro”, che si rivolge a insegnanti e altre figure educative, genitori, dirigenti scolastici e studenti, che promuove occasioni di formazione itinerante con la finalità di favorire la riflessione sulla scuola e la diffusione orizzontale di pratiche didattiche significative. Al centro un’idea di scuola capace di restituire centralità alla persona, che non si pieghi alla società ma che sia capace di “sognarne” una migliore.

Dal 2021 fa parte della Comunità di Ricerca “Educazione Aperta”.

                                                

Arianna Manca

 

 

 

Arianna Manca 

 (Iglesias, classe 1994)

2013: Maturità  scientifica presso ITIS Minerario "Asproni", Liceo Scientifico-Tecnologico di Iglesias; 

2016: Laurea triennale in Fisica presso l'Università degli studi di Cagliari (UniCa); 

2020: Laurea Magistrale in Fisica presso UniCa; 

2020: Inizio Corso di dottorato in Astrofisica presso UniCa. Associato presso l'Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF). Appassionata di Storia e scrittura creativa.

 

Blog collettivo iglesiente

  

Click to listen highlighted text! Powered By GSpeech