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Letteratura e impegno

Mauro Ennas intervista Riccardo Massole per il Blog collettivo iglesiente.

L'impegno a volte non basta, non può bastare quando il compito richiede sensibilità, capacità critica e autocritica e soprattutto quando, davanti a noi, abbiamo esempi grandi che ci potrebbero inibire. Così non è stato per il nostro giovane scrittore, Riccardo Massole ha superato se stesso continuamente e ha imparato la lezione di suo padre fin troppo bene. Poesia come comunicazione di sensazioni, suggestioni dell'umano spirito in movimento verso una profonda consapevolezza dell'essere e dell'esistenza, Poesia è Letteratura, letteratura e impegno. So riconoscere un talento vero, vibrante e profondo. Sono certo di imparare nuove cose da questa breve conversazione asincrona.

La ringrazio, anche a nome del Blog collettivo iglesiente, per avere accettato di rispondere a questa intervista e per la sua costante energia nella diffusione dell'impegno civile attraverso la parola scritta, a favore di una crescita della consapevolezza nelle nostre comunità, nel territorio del sud-ovest sardo.

Grazie per essersi reso disponibile!

 


Innanzitutto, so che è difficile, ma potrebbe cercare di ricostruire com'è nata la sua passione per la parola scritta? Quali sensazioni, dolori, dolcezze l'hanno preparata a esprimere il suo sentire profondo in poesia?

Sono io a ringraziare lei. E, con lei, tutto il blog. Sono stato fortunato perché ho imparato la poesia abbracciata alla vita. Nella vita ho imparato a trovare poesia, anche nei momenti più dolorosi. Per dirvi quest’abbraccio, concreto, tra vita e poesia, le dico che questo è accaduto, principalmente, grazie a mio padre: Manlio. Leggendo le poesie raccolte in “Bethger: Il lungo dolore”, non solo entravo (per quanto un lettore possa fare) nella vita dolorosa, ma sempre comunitaria dei minatori: leggevo, uscivo per le vie di Buggerru a giocare, vagabondare e incontravo i protagonisti di quelle poesie; i loro figli erano mie amiche, miei amici. Insomma, ho avuto la fortuna di comprendere che la poesia deve farsi carne, deve appartenere al mondo, alla terra, che poi è anche cielo e mare.
Ho vissuto sempre in zone di mare e di miniere: prima Buggerru e dal 1981 a Iglesias.
Mare e miniera hanno in comune la profondità. E sono state e sono, per me, metafore dell’attraversare, della ricerca, dell’introspezione. Ecco, il verso è lo strumento che mi è più congeniale per aiutarmi ad attraversare il mondo nel modo più umano possibile: è la mia lampara, la mia lampada a carburo, la lanterna di Diogene. Mi piacciono i testi brevi, anche quando sono in prosa, intendo. Lo scrivere in versi mi aiuta, perché, quando sono riusciti, permettono una sintesi abissale, diventano immagini definitive. Pensiamo,ad esempio, alla “Mattina” ungarettiana. Miniera e poesia. Concordo con Giorgio Caproni: <<Il poeta è un minatore: è poeta colui che riesce a calarsi a fondo in quelle che il grande Machado definiva “le segrete gallerie dell’anima”>>.

L'importanza della sua figura paterna è indiscutibile e ha influenzato molti di noi, compreso me, sulla valutazione a posteriori della nostra comune storia mineraria. Qual è il più importante insegnamento che custodisce? Come, la sofferenza può essere piegata e guidata a produrre profonda bellezza ma anche continuo turbamento?

Senza dubbio mio padre è stato il mio maestro: di vita e di poesia.
Sono stato educato a partire da me, non per egoismo, ma per incamminarmi, per sciogliere gli ormeggi, come da un porto verso l’alterità. L’essere figlio di Manlio, m’ha insegnato, con profondità, a fare i conti, a vivere nella diversità e tra diversi: in modo curioso e pacifico. In questo senso: mio padre, prima insegnante, in zone di miniera; poi, minatore, lasciando la cattedra. E sempre, poeta, anche se divideva la sua produzione poetica in due fasi: “prima e dopo la cura della miniera.” Ho vissuto la diversità in questo senso: fino ai primi anni settanta sono stato, in mezzo a bambine e bambini, figli di minatori, figlio del maestro, del professore. Una volta lasciata la cattedra per andare a conoscere i minatori, Manlio, m’ha ancora fatto diverso, in quanto figlio di una persona che aveva scelto la miniera.
L’insegnamento più importante che custodisco è questo: o la cultura serve per metterci in viaggio verso il prossimo, oppure, nel migliore dei casi diventa erudizione e, nel peggiore, tomba d’ogni progresso sia personale che sociale. Tornando a mio padre: in effetti, lasciando la cattedra per la miniera, non ha lasciato la scuola: semplicemente da insegnante s’è fatto alunno dei suoi amici e dei suoi ex alunni per conoscere un mondo che conosceva solo in superficie: ecco il passo mosso dalla cultura verso ciò che è sconosciuto. Non so se la sofferenza possa essere piegata. Certamente può essere vissuta e vivendola la si può condurre verso una bellezza profonda, che interroga e turba. Si veda, ad esempio, la scelta di abitare la condizione operaia fatta da Simone Weil, o il modo di vivere il campo di sterminio da parte di Etty Hillesum: due pietre angolari, per chi vuole costruire una vita che non rinunci a tutto ciò che l’umano comporta, compresa la bellezza, quindi, anche quando il dolore è il più radicale. Quando le leggo, mi indigno, mi impegno a essere cittadino, militante, migliore e allo stesso tempo godo anche della bellezza che ci hanno lasciato: come un testimone di una staffetta che non deve mai finire, perché bellezza e umanità sono sempre da riconquistare. Ogni nostro giorno. E ogni giorno dopo di noi. Sono un orizzonte che abbiamo il dovere di lasciar aperto a chi verrà.

Lei dice di essere “senza titolo”, ma chi conosce anche parzialmente la sua opera sa che ha già le carte in regola e attende la consacrazione attraverso la sua imminente (speriamo) nuova opera poetica. Ci può dare qualche anticipazione?

Mi dichiaro senza titolo perché non so se quanto scrivo abbia titolo per essere poesia. Ho sempre un certo rossore che affiora, forte, quando mi chiamano poeta.
Se poeti sono Quasimodo, Montale, Ungaretti, Candiani, Alleramo, Lamarque, Pozzi, per fare qualche nome, credo che sia non solo prudente, ma doveroso, il rossore, il mettere in dubbio, almeno per me, l’eventuale titolo. La ringrazio comunque per la fiducia. Per quanto riguarda il mio prossimo libro, posso dire che è nelle mani di Marcella Brianda, l’agente letteraria che mi segue. Adesso sono cavoli suoi. È lei che mi deve trovare casa. Per quanto riguarda il contenuto, inizio dicendovi che è una narrazione in versi e i testi possono essere letti autonomamente oppure seguendo il filo che è quello della vita di molti: gioie, dolori, paradiso e naufragio. Insomma, come vede, non riesco a staccare il mio scrivere dalla realtà.

C'è chi pensa che la Poesia e la Letteratura abbiano un grande valore se superano la forma pura e sanno convogliare sincerità, sofferenza e impegno. Nei suoi ultimi componimenti, quelli anticipati a chi la segue, risaltano queste tre caratteristiche e in particolare l'impegno politico e le suggestioni forti. Lei ha fatto studi filosofici, come è riuscito a selezionare i suoi mentori e ad allontanare i cattivi maestri?

Anch’io penso che poesia e la letteratura in genere abbiano valore maggiore se si riesce a superare la forma pura e s’incavernano, s’interrano, scavano nell’umano. E per fare questo c’è bisogno di strumenti quali appunto sincerità, sofferenza, gioia, impegno.
Concordo perché credo che anche la vita, definiamola quotidiana, per comprenderci, debba essere vissuta all’insegna della sincerità e debba farsi carico della sofferenza, della gioia, dell’impegno che il vivere ci chiede. Il poeta deve appartenere alla terra. Militare. Dire che cosa del mondo gli va bene e che cosa è da cambiare, riformare. O rivoltare.
Non potrei rinunciare all’impegno politico e neppure voglio (in questo momento non ho nessun partito a rappresentarmi). Sono cresciuto in mezzo all’impegno, a Buggerru: le lotte dei minatori sono stati i primi libri politici che ho letto.
Il poeta non deve rinunciare all’umano, sia esso da difendere o da conquistare. Umano: humus. Terra. Fioritura. Cielo. Ho studi filosofici non conclusi, ma non ho mai smesso di leggere e di studiare. Sono convinto che la filosofia sia una pratica (come del resto ci hanno detto i classici) e che abbia poco a che fare con accademismi che la vorrebbero neutrale.

XI Tesi su Feuerbach

I filosofi
hanno soltanto
diversamente interpretato
il mondo.
Ma si tratta
di folgorarlo d'estasi.

(*) Renzo Maria Grosselli, da "Sifilide (Antologia di sorrisi) Trento 1989, Stampa Effe e Erre.

I filosofi hanno interpretato diversamente il mondo” e non è mica poca cosa, ma concordo con il sociologo, poeta, narratore, Renzo Maria Grosselli (*), bisogna fare un passo ulteriore: “si tratta di folgorarlo d’estasi.”. Sono convinto che non ci sia poesia senza pensiero e che, però, non ci sia neppure pensiero senza un momento poetico, creativo, di stupore. Mi perdonerà se non so essere più preciso nelle coordinate di questa citazione di Wittgenstein. Ricordo però, con certezza, d’averla letta in un’intervista a Giorgio Agamben e dice così: “La filosofia si dovrebbe solo poetare.
I miei maestri sono dei “cattivi maestri. Tra questi, in un riassunto estremo, dico i grandi classici della filosofia occidentale e tra i poeti Alberti, Hikmet, Scotellaro. Sono stati e sono fondamentali anche il Vangelo, le Fonti Francescane, i grandi testi spirituali che mi sono stati donati da altre culture. Aggiungo ai “cattivi maestriDavid Maria Turoldo e Adriana Zarri. Dico che mi sono stati donati perché sono loro che mi sono venuti incontro quando ne avevo bisogno. E dico “cattivi maestri” i giganti che ho citato perché questa società, almeno quella parte che ci governa, li ha condannati ai margini, dando rilevanza e visibilità a isole dei famosi e grandi fratelli. A tette e sederi che non sanno tremore di carezza. Basti pensare ai tentativi che, periodicamente, si fanno di cancellare lo studio della filosofia, anziché portarla dove ancora non si studia.

Cosa vorrebbe che rimanesse di questa breve conversazione, quali semplici consigli universali darebbe ai giovani e alle giovani delle nostre comunità per spingere il cambiamento di mentalità e operare per il 'bene comune'?

Vorrei che restasse la voglia di fare comunità che ho anch’io. Da quando non ci sono più i minatori è venuto a mancare lo spirito comunitario, tipico del movimento operaio.
Per cambiare c’è bisogno di impegno individuale, di essere parte: solo così si costruirà quel Tutto che poi dovrà essere condiviso con tutti.
Forse non sarà domani, né dopodomani. Sarà, forse, fra dieci, cento o mille anni, ma l’uomo riuscirà a spartirlo tenendo conto della capacità di ciascuno, ma soprattutto del bisogno di ciascuno. Lo dico ai giovani e lo dico anche a me e a lei, perché come ha detto Sandro Pertini, allora Presidente della Repubblica, “la giovinezza è la vita che ci resta da vivere.” Grazie di cuore.

 

Grazie e buon lavoro.

 

 

 

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Riccardo Massole

(Iglesias)

Riccardo Massole, è nato e vive a Iglesias, senza titolo e senza curriculum:  rinasce ogni giorno.

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