Click to listen highlighted text! Powered By GSpeech

Il bianco, il nero e il grigio

 

 

Ci hanno sempre insegnato che storia e preistoria si distinguono per il fatto di avere o meno testimonianze scritte.

La preistoria narra le vicende umane anteriori all'invenzione della scrittura ed il suo studio si basa prevalentemente sull'archeologia e sulla ricostruzione determinata dai ritrovamenti fossili. È impossibile ricostruire singoli fatti della preistoria. Si possono soltanto delineare i tratti elementari della società umana e l'evoluzione dell'uomo, con grande margine d'incertezza e di dubbio. La storia, invece, narra le vicende degli uomini a partire dall'invenzione della scrittura, datata all'incirca intorno al 3000 a.C. in Mesopotamia e poi in Egitto. La scrittura ha consentito di tramandare nel tempo documenti e testimonianze del passato, consentendo una ricostruzione sufficientemente precisa dei fatti.

E chi può conoscere il valore dei documenti meglio di coloro che quei documenti studiano, schedano, riordinano, per renderli fruibili al pubblico? Gli storici in primis, ma anche gli archivisti che, fra i loro compiti professionali, annoverano il trattamento scientifico delle testimonianze scritte del passato ma anche la loro valorizzazione e divulgazione.

Il valore, perciò, del documento scritto deve essere assolutamente ed universalmente riconosciuto.

Ma.

C’è un ma.

Possono i documenti d’archivio attestare il falso? Qui non parliamo di documenti in senso lato, quali scritti di singoli personaggi o articoli di giornale o altro, ma piuttosto di scritti posti in essere da un ente produttore nel corso di una attività, sia essa amministrativa, politica, economica, assistenziale o altro. Prendiamo il caso dell’Archivio storico comunale di Iglesias. Nel corso delle mie ricerche e del mio lavoro, ormai più che ventennale, sono spesso incappata in documenti che permettevano una ricostruzione storica del passato precisa e talvolta anche ricca.

Ma

Ecco il ma.

Nello studio dei documenti occorre fare una operazione ardua, faticosa, spesso lunga e fastidiosa, quasi dolorosa: leggerli spogliandosi delle categorie del pensiero presente per calarsi appieno (per quanto possibile) nella temperie storica in cui quegli scritti furono concepiti e messi in essere.

Ecco che nel Breve di Villa di Chiesa (statuto della città di Iglesias risalente al XIII-XIV sec.) potremmo stupirci nel leggere la pena, molto severa, comminata ai rei di falsa testimonianza.

L'età di mezzo (Alessandro Barbero)

 

La falsa testimonianza era punita con il taglio della lingua di traverso in modo che “ni vada lo pesso” (andasse via proprio il pezzo di lingua). Vi era però la possibilità di “ricomperare” la lingua, cioè di non subirne il taglio, pagando la considerevole somma di cento libbre di alfonsini minuti entro 10 giorni. Nondimeno, pagata questa somma, il reo doveva essere condotto, “a modo di malfactore”, con un amo conficcato nella lingua, dalla Corte di Villa di Chiesa fino al luogo “unde si fa la justicia” e dove l’amo gli veniva tolto. La pena, oltreché economica, era comunque duplice: dolore fisico e vergogna pubblica. Questa scappatoia però non era valida se la falsa testimonianza avesse provocato qualche pena corporale a chi fosse stato ingiustamente accusato: in quel caso l’unica pena prevista restava la più grave, cioè il taglio della lingua.

La pagina dedicata al reato di falsa testimonianza del Breve di Villa di Chiesa.

 

Significativo che nella Carta de Logu (testo legislativo promulgato da Eleonora d'Arborea alla fine del XIV secolo, diretto a disciplinare in modo organico, coerente e sistematico alcuni settori dell'ordinamento giuridico dello stato sardo indipendente dell'Arborea) vi sia una punizione analoga. Nel capitolo 76 infatti si stabilisce che se qualcuno sotto giuramento testimoniasse il falso, e fosse riconosciuto colpevole, dovrebbe pagare 50 lire entro 15 giorni. Se non pagasse gli verrebbe conficcato un uncino nella lingua e, frustato, sarebbe condotto per tutta la regione sino al letamaio: là gli sarà tagliata la lingua e sarà lasciato andare ma non gli verrà più prestata fede come testimone.

Come interpretare dunque, o comprendere, la gravità della punizione per un reato di tal fatta?

Facendoci contemporanei della cultura del periodo, secondo la quale il giuramento sui sacri vangeli (dunque la verità sotto giuramento) era la base della convivenza civile e contravvenirla significava porsi al di fuori della società (si veda anche la necessità della pubblica espiazione a vantaggio dell’intera collettività).

E cosa pensare delle annotazioni su alcune tessere del personale della Società mineraria Monteponi nel XIX e XX secolo, quando compare, soprattutto in epoca fascista ma non solo, il licenziamento di qualche operaio perché ritenuto scansafatiche? Il caso poteva anche verificarsi, ma occorre ricordare che con il licenziamento venivano puniti anche coloro che non si uniformavano al regime e lo contestavano.

Le fotografie, documenti anch’essi, vanno a loro volta interpretate secondo le conoscenze storiche che abbiamo del periodo in cui sono state scattate. Come non pensare che le fotografie del fondo archivistico Monteponi/Montevecchio, conservate sempre nell’Archivio storico comunale di Iglesias, non siano state architettate a posta, dato che esse venivano commissionate dalla Società Monteponi e da essa sono state conservate nel proprio archivio? Possiamo pensare che la Società volesse rappresentare la realtà storica o non invece celebrare, con quelle foto, le “magnifiche sorti e progressive” dell’industria mineraria che si stava affermando nella nostra zona? Propongo ad esempio foto in cui compaiono bimbi e donne con le scarpe quando sappiamo che in quel periodo la disponibilità di calzature era generalmente limitata.

Impianto di frantumazione della Società Monteponi (Archivio storico comunale di Iglesias).

 

Che pensare delle maestre della scuola elementare di Monteponi che, tutte comprese del loro ruolo di educatrici ai valori fascisti sostenevano campagne di tesseramento dei bimbi, collaboravano alla raccolta autarchica del ferro, della lana e poi delle fedi nuziali, insegnando canti patriottici per creare i futuri eroi per il Duce?

Tutte da condannare perché fasciste? Che dire, in quella temperie, di una maestra che nel 1935 osa scrivere, sui registri scolastici a fine anno, parole di questo tenore?

"Per la disciplina, senza nessuna fatica, sono riuscita a conciliare l'autorità dell'educatore con la libertà dell'educando, non dando mai dei crudi comandi ma con l'amore, la persuasione che riesce a temperare l'autorità, a renderla cara agli educati, ad accrescerla; facendomi acquistare dagli alunni quella stima, rispetto, benevolenza, fiducia senza di cui l'autorità degli educatori non sarebbe riconosciuta né le nostre parole sarebbero persuasive. Non ho mai imposto la mia autorità, perché non c'è peggior cosa dell'autorità che soggioga, che vincola il libero arbitrio. Così gli alunni hanno vissuto accanto a me in un ambiente saturo di libertà della quale non hanno abusato: ottenevo tutto dai miei cari alunni."

La copertina del Giornale di classe della scuola elementare di Monteponi/Iglesias (1931-1932).

 

Insomma: non tutto ciò che si legge sui documenti è bianco o nero. Tante sono invece le sfumature di grigio e, in assenza di adeguate conoscenze storiche, occorrerebbe quanto meno presentare i documenti senza giudizio alcuno o, preferibilmente, fornendo anche le diverse interpretazioni possibili. Io ci provo.

 

   Il Breve di Villa di Chiesa 

 

Della stessa autrice

   Ingiustizie: ieri e oggi a cura di Daniela Aretino Dessì

   Un archivio integrato del lavoro minerario a cura di Daniela Aretino Dessì

 

Leggi anche

   Iglesias: martedì, 11 maggio 1920 a cura di Mauro Ennas

   Il lato oscuro di Quintino Sella cura di Mauro Ennas

 

Daniela Aretino

Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

  

 

Daniela Aretino Dessì

(Iglesias, classe 1971)

1989  Maturità scientifica presso il Liceo "G. Asproni" di Iglesias;  2003 Laurea in Lettere presso l'Università degli studi di Cagliari;  1993-1995 Diploma di Archivista Paleografa e Diplomatica presso l'Archivio di Stato a Cagliari; 2019 Inserimento negli elenchi nazionali in qualità di "Archivista" di prima fascia; dal 1995 Archivista Paleografa con oltre 25 anni di esperienza sul campo, principalmente  presso l'Archivio storico del comune di Iglesias; aggiornamento continuo anche tramite i corsi dell'Associazione Nazionale Archivistica Italiana; madre, moglie, appassionata  studiosa di Storia e di divulgazione culturale, partecipo a seminari e presentazioni come relatrice e volontaria culturale.

 

Aggiungi commento

I commenti possono essere anonimi.
Se il nome è già presente cambia il nome finché ne trovi uno non presente.
Commenti brevi e circostanziati. Grazie!
Questo sito non raccoglie dati personali.
Se volete lasciate un riferimento volontario alla fine del testo (ad esempio nome completo e/o e-mail).
I messaggi poco significativi saranno rimossi.

Codice di sicurezza
Aggiorna

Click to listen highlighted text! Powered By GSpeech